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Tecnologia e salute: un software per pazienti post coma che non riescono a comunicare
Per i pazienti che escono dal coma e che sembrano non rispondere più agli stimoli esterni è stato inventato un software – interfaccia computer/cervello – in grado di verificare la presenza di uno stato di coscienza e rilevare le intenzioni motorie, senza considerare i movimenti più o meno visibili. Il progetto scientifico si chiama “Interfaccia Neurale per valutare il livello di coscienza dei pazienti non responsivi e favorirne la comunicazione con l’esterno”, ha preso il via a Torino ed è coordinato dal Centro Puzzle e cofinanziato dalla Fondazione Cassa Risparmio di Torino (CRT). Il gruppo di ricerca del Centro Puzzle ha iniziato a sviluppare un’interfaccia cervello-computer per permettere ai medici di diagnosticare la presenza di coscienza in pazienti non responsivi, cioè in quei pazienti che, usciti dal coma, sembrano non rispondere più ad alcuno stimolo. A seguito di importanti eventi traumatici (per il 40% incidenti stradali), vascolari (es.: ictus o emorragia cerebrale), anossici o infettivi, il cervello può andare incontro a severi danni, che spesso conducono al coma. Stando ai dati, sono circa 250 mila le persone che ogni anno entrano in coma a seguito di incidenti, intossicazioni o malattie. Il coma, tuttavia, rappresenta solo una condizione transitoria. Alcuni pazienti non riescono a superare la fase acuta e muoiono. Altri, invece, dopo alcuni giorni o qualche settimana, si risvegliano. I più fortunati, circa un soggetto ogni tre, recuperano completamente lo stato di coscienza. Gli altri pazienti, invece, passano dal coma ad una serie di condizioni cliniche identificate come Stato Vegetativo (SV), in cui la coscienza è totalmente assente, e Stato di minima coscienza (SMC), dove, invece, c’è uno stato emergente di coscienza, spesso molto difficile da diagnosticare. Mentre i pazienti in coma non riescono a svegliarsi, i pazienti in SV e SMC recuperano la vigilanza, ovvero riaprono gli occhi e alcuni riflessi involontari. Fino a qualche anno fa si riteneva che tutti i pazienti usciti dal coma, che non erano responsivi, fossero in SV, privi totalmente di consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante.
Negli ultimi anni, tuttavia, si sono accumulate le evidenze di presenza di coscienza anche in pazienti non responsivi, rivelando una elevata incidenza di errore diagnostico. Alcuni studi, infatti, suggeriscono che ben il 43% dei pazienti oggi diagnosticati come SV, pur avendo recuperato lo stato di coscienza, non riescano a manifestare alcun segno di presenza di coscienza durante i test diagnostici. Il motivo è che questi test si basano unicamente su risposte motorie a comandi verbali e i pazienti in SV, spesso soffrono di una totale paralisi che include anche il battito palpebrale ed i movimenti oculari.
A livello nazionale si stima che le persone che giacciono in stato di non responsività siano alcune migliaia e che tale numero sia inesorabilmente destinato a crescere, sia in considerazione dell’accresciuta precocità ed estensione sul territorio della medicina d’emergenza, che alla prolungata sopravvivenza. Appare quindi chiaro che i criteri e gli strumenti ad oggi utilizzati per fare diagnosi differenziale tra pazienti in stato vegetativo e pazienti in condizione di minima coscienza non-responsiva siano insufficienti. La valutazione clinica, infatti, allo stato attuale non è in grado di distinguere oggettivamente tra riflessi motori che potrebbero celare, in realtà, tentativi malriusciti di esecuzione intenzionale di movimenti, e riflessi automatici privi di intenzionalità di alcun genere. Per avere un’idea dell’entità del fenomeno, basta considerare che, in Italia, una persona ogni tre che si trova in coma, ha un’età compresa tra 0 e 15 anni e circa 700 bambini si trovano attualmente in SV.
Il gruppo di ricerca vuole rispondere all’esigenza di riuscire a sviluppare un’interfaccia cervello-computer che permetta di rilevare, grazie a misurazioni non invasive, come quelle elettroencefaliche ed elettromiografiche, le intenzioni motorie di questi pazienti, indipendentemente dal fatto che producano o meno un movimento visibile all’esaminatore. L’ipotesi progettuale presuppone che le persone con basso grado di coscienza siano in grado di pianificare i movimenti richiesti dall’esterno, ma non siano in grado di eseguirli correttamente. Grazie ad un innovativo metodo di analisi di questi segnali elettrofisiologici, cercheranno di isolare e classificare i cosiddetti potenziali elettrici di prontezza, usati per la prima volta in pazienti non responsivi. L’analisi di questi segnali permetterebbe di distinguere tra movimenti totalmente inconsapevoli (es. riflessi) e movimenti intenzionali rivelando la presenza di intenzione e coscienza. L’obiettivo principale è quello di sviluppare un’interfaccia cervello-computer in grado di fornire ulteriori dettagli diagnostici che possano rilevare gradi di coscienza in pazienti non responsivi, attraverso la realizzazione di un software dedicato. Il programma computerizzato consentirà l’analisi di specifici parametri elettrofisiologici (Elettroencefalografia, EEG) ed elettromiografici (Elettromiografia, EMG), per distinguere i movimenti intenzionali da quelli riflessi. L’interfaccia progettata, non solo permetterebbe una migliore diagnosi nelle realtà cliniche, ma consentirebbe anche ai pazienti stessi di comunicare semplici intenzioni (es. “sì”, “no”) al personale medico, aumentando considerevolmente la loro qualità di vita e l’efficacia delle terapie neuro-riabilitative. Attualmente sono state concluse le operazioni di creazione del paradigma sperimentale e del software, mentre l’applicazione sperimentale è in corso di svolgimento presso il Centro Puzzle.