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Sì, viaggiare! La Sindrome di Wanderlust tra malattia e hobby
Zaino in spalla e via.
Uno dei temi più frequenti e prestati in letteratura è il viaggio, non solo inteso come la scoperta di un luogo fisico, ma come avventura dello spirito, che può comportare grandi evoluzioni in una persona condizionandone la percezione – o la rappresentazione – che essa ha del mondo e di se stessa.
Non a caso le arti, e la letteratura in particolare, fin dall’antichità, hanno indagato il tema del viaggio come cammino dell’uomo alla scoperta del mondo e di sé.
Un esempio sopra gli altri è offerto da Omero nell’Odissea con il viaggiatore Ulisse che torna a casa, la sua Itaca, dopo vent’anni di navigazioni.
Non sono pochi i moderni Ulisse, ossia quei viaggiatori che proprio non riescono a restare in un luogo troppo a lungo presi da un irrefrenabile desiderio di scoprire le diverse regioni del mondo, alle volte visitandole anche più di una volta. Queste persone, stando a quanto ritenuto dagli esperti, potrebbero essere affette dalla Sindrome di Wanderlust, anche conosciuta come la malattia del viaggiatore. Il termine wanderlust, dal tedesco, significa letteralmente “desiderio di vagabondare” e induce a esplorare l’ignoto anche se questo si trova a “mille miglia” da casa.
Parlare di una patologia sarebbe un eccesso, probabilmente sarebbe più corretto definire questa tendenza come una vera fissazione dovuta all’esigenza di evadere dall’ordinarietà del quotidiano. Chiaramente per poter pianificare un viaggio sono necessarie le risorse economiche e una buona fetta di tempo libero. Il viaggio, non è una novità, spesso è un piacere che ci si concede per staccare la spina dal lavoro o da difficoltà che richiamano la propria vita. Tuttavia, i “malati” di wanderlust si riconoscono nell’immediato attraverso segnali inequivocabili per comprendere se si è affetti da questa sindrome.
Il primo sintomo è la necessità viscerale di viaggiare, conoscere posti e gente nuova, fare esperienze inconsuete. Tra l’altro, se scegliete una località di mare, secondo uno studio condotto di recente, arreca benefici al cervello.
In secondo luogo, l’ossessione maniacale per i prezzi dei voli, la continua voglia di avventura e l’idea che il denaro abbia valore solo in base a dove ci può portare. Per queste ragioni molti non considerano il wanderlust una patologia, ma una vera e propria passione, un hobby adatto a tutti i sognatori e a quelli che pensano che la vita, per essere considerata tale, debba essere curiosa e originale.
A tal proposito, uno studio scientifico dimostrerebbe che i malati di viaggi sono tali perché ce l’hanno scritto nel DNA.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Evolution and Human Behaviour lo scorso giugno, è certa di aver individuato il cosiddetto ‘gene del viaggio’, ribattezzato gene di wanderlust e che non sarebbe altro che il recettore della dopamina D4, ossia il diretto responsabile della passione e dell’amore per tutto ciò che è esotico e sconosciuto. Sembrerebbe inoltre che questo recettore non sia presente in tutti, ma fa parte del DNA di circa il 20% della popolazione mondiale.
Ulteriori studi al riguardo hanno poi dimostrato che la maggior parte delle persone affette da questa sindrome sono geograficamente collocate in aree del mondo in cui storicamente i viaggi sono sempre stati incoraggiati, come per esempio l’Africa, da cui già milioni di anni fa migrarono i primi uomini. Anche il National Geographic ha finanziato uno studio che ha rilevato come i wanderluster siano persone maggiormente propense ad affrontare rischi, a provare cibi nuovi, ad avere relazioni nuove e più avventure sessuali. Infine sono sempre molto attenti ai programmi televisivi che si occupano di viaggi, sono amanti dei documentari e guardano film ambientati in luoghi affascinati del Pianeta per viaggiare, se proprio non si può fisicamente, almeno con la fantasia.