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Piangi che ti passa (o forse no!)
“Suvvia, si faccia un bel pianto, si sfoghi, e vedrà che si sentirà meglio! È importante dare spazio alla tristezza, sa?”. Chissà a quanti pazienti sarà capitato di sentirsi ripetere questa frase dal proprio terapeuta… Eppure alcuni studi (e.g. Hendriks et al., 2007) sembrano indicare che piangere faccia aumentare i livelli di stress, con conseguenze negative sull´umore. Ma allora deriva quella sensazione di “pseudo-benessere” che segue un pianto liberatorio? Gli autori suggeriscono che, sebbene il pianto abbia dapprima un effetto attivante, facendo aumentare la frequenza cardiaca, dopo aver pianto si assiste ad una diminuzione della frequenza respiratoria (che si sa essere associata ad uno stato di calma).
In alcune circostanze il pianto suscita nell´interlocutore una reazione di accadimento verso chi sta piangendo. Sarebbe questa variabile (la vicinanza di un´altra persona) e non il pianto in sé a sortire effetti positivi come la diminuzione dell´intensità della tristezza. In situazioni, invece, in cui il pianto espone al giudizio o addirittura alle critiche dello spettatore, ecco che si assiste ad un aumento del disagio psicologico in chi piange. Rottenberg (2002) ha condotto uno studio in cui esponeva i partecipanti ad una scena triste: chi aveva pianto aveva riferito di sentirsi più triste rispetto a chi, osservando la stessa scena, non aveva pianto.
Va detto, infine, che la fenomenologia del pianto è molto più complessa di quello che si pensi. Non esistono solo le lacrime di tristezza ma anche quelle di rabbia, di gioia, di disperazione, di invidia, di gelosia, di rimpianto, di dolore fisico, di fame. E la lista potrebbe continuare. Naturalmente a seconda del significato che assume il pianto ci possiamo aspettare che questi possa esercitare effetti molto diversi sul tono dell´umore.