Questo sito Web utilizza i cookie per offrirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito web e aiutando il nostro team a capire quali sezioni del sito web trovi più interessanti e utili.
Sopravissute ad Auschwitz “grazie” alle sperimentazioni mediche, la storia delle due sorelline italiane
Sono fra i pochi bambini sopravvissuti alle atrocità del campo di concentramento di Auschwitz, due dei 50 bambini che il destino ha salvato, a fronte dei 230 mila bambini uccisi nella fabbrica della morte. Clemenza? No, ricerca scientifica. È drammatico, tenero e dai toni intimi il racconto delle sorelle Tatiana e Andra Bucci, sopravvissute alla Shoah, che ha commosso l’Europa sin da quando hanno deciso di condividere la loro storia – per caso, con un’intervista alla BBC – affinché nessun bambino venga più sottoposto a un trattamento simile.
Tatiana e Andra vivevano con la famiglia a Fiume. La famiglia materna delle due sorelle – la famiglia Perlow, ebreo-russa – era migrata in varie regioni del continente europeo per sfuggire alle politiche antisemite dei pogrom dell’Est e si era finalmente stabilita nella città dalmata dove la madre, Mira Perlow incontrò e sposò Nino Buchic italianizzato in Giovanni Bucci. In questo contesto crescono le sorelle Tatiana e Andra che vivranno serenamente, nonostante i venti di una politica mussoliniana che non lasciava presagire niente di buono agli ebrei, fino alle sera del 28 marzo 1944 quando i soldati tedeschi fecero irruzione nella loro abitazione arrestando tutti i presenti. Mamma Mira, nonna Rosa, zia Sonia e zio Jossi, zia Gisella, il cuginetto Sergio e le due sorelline si trovarono su un camion indirizzato chissà dove. Il solo a scampare alla deportazione fu il padre, figlio di famiglia cattolica che rimase prigioniero in Sudafrica fino alla fine del Secondo conflitto mondiale. A seguito di una breve sosta nella Risiera di San Sabba a Trieste, il convoglio il 4 aprile attraversò i cancelli di Auschwitz-Birkenau. “Ad Auschwitz, per la prima volta ci rendemmo conto di essere ebree. Loro ci dicevano che lo eravamo ed eravamo convinte che essere ebrei volesse dire vivere così, tra disagi, freddo, fame, baracche, fumo di una ciminiera. Le furtive visite serali della mamma ci aiutarono ad ancorarci alla realtà”. Tatiana aveva 6 anni, Andra 4 e il cugino Sergio 7 quando furono internati nel Kinderblock, il blocco dei bambini destinati alle più severe sperimentazioni mediche del dottor Joseph Mengele. Le due, vista la leggera distanza anagrafica, furono scambiate fortunatamente per gemelle.
“Se chiudiamo gli occhi – hanno raccontato le due donne che venerdì 24 gennaio hanno ricevuto la Laurea Honoris Causa in Diplomazia e Cooperazione Internazionale all’Università di Trieste – rivediamo la baracca dei bambini, assieme a Sergio giriamo intorno tenendoci per mano. […] Andiamo in giro soli, abbiamo freddo, addosso abbiamo dei cappottoni e le scarpe senza calze che ci sfuggono dai piedi”. Se per Sergio il futuro non è stato benevolo, per loro due invece la sorte è stata diversa. Le due bambine infatti non si ammalarono di malattie infettive come il tifo o la dissenteria, godettero inoltre della benevolenza di alcuni internati che fornivano loro del pane, biscotti e cioccolata. Fondamentale per la loro salvezza fu un’addetta alla sorveglianza della baracca dei bambini e delle donne, che mise loro in guardia dai tranelli delle SS.
Dopo essere state cavie umane per gli sperimenti medici dei nazisti, Tatiana e Andra alla liberazione non rividero presto i loro genitori. Del passato ricordavano solo i loro nomi, l’italiano invece era un ricordo sbiadito. Nel corso della prigionia avevano appreso il tedesco, poi il ceco e l’inglese nel corso del soggiorno in orfanotrofio e nella clinica Freud in Inghilterra. Ritrovarono i genitori nel dicembre del 1946.