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La salute dei fiumi italiani è compromessa, il report del Wwf
Lo stato di salute dei fiumi che attraversano le città italiane non è dei migliori. Certamente i corsi d’acqua sono una efficace e quanto mai precisa cartina tornasole della condizione del territorio ma sempre di più si assiste ad episodi violenti che rendono i fiumi nemici degli spazi urbani. È possibile prevenire?
Lo scorso settembre il documento “SOS fiumi – manutenzione idraulica o gestione fluviale?” ha fatto chiarezza sul punto anche se dallo stesso emerge un vero e proprio stato di emergenza dei fiumi. In tutto il Paese – riporta la nota del Wwf – continuano a essere autorizzati interventi di taglio indiscriminato della vegetazione ripariale o di dragaggio degli alvei con la scusa di renderli più sicuri. Azioni in aperto contrasto con le direttive europee ma anche con la recente “Strategia dell’Ue sulla biodiversità per il 2030” che sottolinea l’importanza di mantenere il buono stato ecologico dei corsi d’acqua. È infatti lunga la lista dei casi di recente manutenzione idraulica che hanno stravolto diversi corsi d’acqua italiani e che, in alcuni casi, hanno peggiorato la sicurezza lungo i fiumi.
È doveroso pertanto adoperarsi di più per ristabilire gli ecosistemi di acqua dolce e le funzioni naturali dei fiumi. La loro gestione è complessa e non può essere affrontata con formulette semplicistiche del tipo “taglia e scava”. Proprio in occasione della Giornata mondiale dedicata ai fiumi, l’associazione ambientalista italiana ha sottolineato come in Italia appena il 40% dei fiumi goda di buona salute, essendo a norma rispetto ai parametri stabiliti dalla Direttiva quadro sulle acque dell’Unione europea. Un altro dato che non migliora le cose riguarda invece il consumo di suolo lungo i corsi d’acqua. In Italia questo fenomeno è in crescita un po’ ovunque: stando infatti al rapporto Ispra 2017 è una criticità che riguarda, in Liguria, circa il 24% del territorio entro 150 metri dagli argini, in Trentino Alto Adige oltre il 12% e Veneto più del 10%.
«Si è irresponsabilmente continuato a costruire in aree pericolose che potevano essere meglio utilizzate per compensare i deficit di aree di esondazione, mentre così la percentuale di suolo consumato all’interno delle aree a pericolosità idraulica elevata è del 7,3%, mentre è del 10,5% nelle aree a pericolosità media, lasciando così oltre 7,7 milioni di italiani a rischio. Secondo l’associazione ambientalista, nonostante l’urgente necessità di riqualificarli questi siti vengono, invece, danneggiati.
È dunque indispensabile considerare la complessità degli ecosistemi d’acqua dolce, dei fiumi, garantire la loro vitalità affinché conservino o ripristino il più possibile la loro funzionalità ecologica per garantire i loro servizi ecosistemici. Tra questi, ad esempio, la capacità di depurarsi in autonomia, di proteggere le sponde, di contenere le acque durante le piene, di ricaricare le falde, ma anche di regolare il ciclo idrologico e attenuare gli effetti del riscaldamento. Funzioni «tanto importanti per favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici». Per questo, secondo Wwf Italia, è indispensabile garantire un approccio interdisciplinare nella gestione del territorio e, in particolare, nella manutenzione dei fiumi: «è necessario coinvolgere geomorfologi, idrogeologi, botanici, ecologi, forestali, insomma le competenze ambientali che sono state fino ad ora generalmente escluse.