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Ristrettezze economiche, gli italiani rinunciano alle cure mediche
Dal primo lockdown alla fine del 2020, l’anno orribile, sono circa 3 milioni gli italiani che hanno fatto un passo indietro rinunciando alle cure mediche oppure a operazioni di qualsiasi tipo (eccetto quelle più urgenti). Non è infatti un tabù: per stare bene è necessaria una certa disponibilità economica. Nei mesi in cui la pandemia ha letteralmente alleggerito le tasche degli italiani, soprattutto delle categorie più colpite dalle restrizioni e dalle norme in vigore, in molti hanno dovuto fare delle rinunce, anche compromettendo il proprio benessere o quello dei propri cari.
È questo quanto emerso dall’indagine condotta da mUp Research e Norstat per Facile.it secondo cui, inoltre, 32,8 milioni di italiani si sono visti cancellare o rimandare cure mediche (con un tempo medio di rinvio pari a 53 giorni). Lo studio pubblicato rileva che circa 27,9 milioni di italiani, ovvero il 73,6% di coloro che avevano in programma un appuntamento presso una struttura sanitaria, hanno subìto uno o più rinvii, mentre 13 milioni di cittadini, pari a più di un paziente su tre (34,3%), si sono visti annullare il proprio appuntamento.
L’emergenza sanitaria ha appesantito non di poco l’attività ospedaliera concentrando l’occupazione di ogni singola struttura sulla cura di un virus fino a un anno fa del tutto sconosciuto. Per questa ragione l’attività dei reparti è stata ridotta, sospesa e posticipata per avere a disposizione il maggior numero di letti liberi da destinare ai pazienti Covid e per permettere al personale sanitario di affrontare la fase più critica dell’emergenza. Fra coloro cui è stato rinviato o annullato un appuntamento già programmato, nel 54,7% dei casi questo si sarebbe dovuto svolgere in struttura pubblica, nel 45,3% in una privata. Inoltre, circa 7 milioni di cittadini, a seguito di rinvii o annullamenti, hanno scelto di spostare da una struttura pubblica ad una privata una o più visite.
Ampliando lo sguardo, e puntando i riflettori sugli altri Paesi del mondo, dall’avvio della pandemia sono stati rimandati o annullati oltre 30 milioni di interventi che hanno a che vedere con la chirurgia generale, con l’oncologia, cardiochirurgia, ortopedia, e così via. Una scelta ben ponderata dalle aziende sanitarie territoriali che comunque non ha riguardato le urgenze. C’è infatti chi in un contesto critico a livello sanitario ha dovuto sottoporsi comunque a un intervento in sala operatoria. Una necessità che in alcuni casi ha messo a rischio la salute dei pazienti. Lo spaccato che emerge da uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet evidenzia infatti quanto delicata sia la scelta che può porsi di fronte a medici e pazienti, nel momento in cui occorre valutare i rischi e i benefici derivanti dall’esecuzione di una procedura chirurgica nel corso di una crisi sanitaria di questa portata. Dallo studio infatti è emerso che quasi 1 paziente su 5 è deceduto a trenta giorni dall’intervento e oltre 1 su 2 ha riscontrato complicanze polmonari.