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Malattia di Huntington, il Sant’Andrea tra i centri di ricerca coinvolti nel programma GENERATION HD2
Soli pochi giorni fa, lo scorso 29 febbraio, si sono riaccesi i riflettori sulla Giornata internazionale delle malattie rare, con esplicito riferimento all’ampia famiglia di quelle patologie che hanno un’incidenza sulla popolazione non superiore allo 0.05%. Non più di 1 caso ogni 2000 persone, ma complessivamente milioni di pazienti, contando le ormai 10mila malattie rare diagnosticate. Tra queste c’è anche la malattia di Huntington (HD), patologia neurodegenerativa del sistema nervoso centrale, a trasmissione autosomico dominante, caratterizzata da movimenti involontari, continui e scordinati associati a disturbi comportamentali e cognitivi fino a quadri di grave demenza, la cui ricerca è portata avanti dalla UOC Neurologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria Sant’Andrea.
Nel caso specifico, il nosocomio romano, che da oltre vent’anni prende in carico i pazienti affetti da Huntington, è uno dei centri tre centri in Italia che partecipa allo studio GENERATION HD2 in corso in ben quindici paesi sia in America sia in Europa (Argentina, Austria, Australia, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Nuova Zelanda, Polonia, Portogallo, Spagna, Svizzera, Regno Unito e USA).
GENERATION HD2 è uno studio clinico di Fase II randomizzato, controllato con placebo, condotto in doppio cieco per dare modo ai ricercatori di realizzare un’analisi anche dell’efficacia del farmaco sulla popolazione analizzata. Nella fase preparatoria, autunno 2022, il dottor Marco Pacifici, Rare Conditions Partner di Roche Italia, ha fatto sapere che sarebbero stati coinvolti “individui adulti, di età compresa tra i 25 e i 50 anni, con CAP score (un indice usato per valutare la severità della malattia, ottenuto dalla combinazione di diversi parametri, fra cui l’età e la lunghezza della tripletta CAG che nella Huntington risulta esageratamente ripetuta, n.d.r.) compreso tra 400 e 500 e con un TMS (Total Motor Score) superiore a 6. Questo indica una popolazione di pazienti prodromici o early-manifest”. Ad essere esclusi dallo studio, invece, sarebbero stati quanti avessero ricevuto altre terapie che riducono la huntingtina (ASO o siRNA).
A questo proposito, come spiegano dal policlinico di Sapienza Università di Roma e ospedale di alta specializzazione della Regione Lazio, nel mese di febbraio è stata arruolata la prima paziente dello studio per questa sperimentazione clinica che prevede la somministrazione di un oligonucleotide antisenso (ASO) concepito per ridurre i livelli della proteina huntingtina, che per via di una mutazione, causa la malattia. Lo studio di fase II, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, prevede la somministrazione del farmaco per via intratecale ogni 16 settimane per una durata di 24 mesi di osservazione. Si tratta di una terapia eziologica che mira a rallentare la progressione della malattia per migliorare la qualità della vita del paziente.