Questo sito Web utilizza i cookie per offrirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito web e aiutando il nostro team a capire quali sezioni del sito web trovi più interessanti e utili.
PENSIONI, SANITÀ ED ASSISTENZA: L’IMPORTANZA DELLA WHITE ECONOMY
PENSIONI, SANITÀ ED ASSISTENZA: L’IMPORTANZA DELLA WHITE ECONOMY
Il futuro del Welfare? È la White Economy, la filiera economica della cura, dell’assistenza e della previdenza per le persone, che secondo il Censis vale 290 miliardi, il 9,4% della produzione complessiva nazionale. La ricerca “Impatto e potenziale di crescita della White Economy”, presentata il 10 dicembre a Roma, e realizzata insieme ad Unipol nell’ambito del programma “Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali”, mette in luce il valore economico e occupazionale dell’insieme delle attività pubbliche e private riconducibili al benessere delle persone (salute, previdenza, assistenza).
L’età media si è alzata, c’è una crescente di domanda di salute e di assistenza sanitaria. Domanda che potrà essere soddisfatta solo con un sistema di offerta solido, integrato, in grado di crescere e di adeguare rapidamente le prestazioni che eroga. Un sistema in cui l’offerta privata, nelle sue tante e diverse forme sarà destinata a giocare un ruolo sempre più rilevante.
I dati che emergono dalla ricerca del Censis sulla White Economy sono senza dubbio positivi: nei suoi diversi comparti, dà lavoro direttamente a 2,8 milioni di persone, a cui vanno aggiunti i posti di lavoro che si generano “a monte” (quelle che vengono attivate in altre branche economiche per consentire l’attività della White Economy) e “a valle” (che tuttavia si generano solo nella branca relativa alla produzione e al commercio di prodotti farmaceutici o medicali), che innalzano il numero degli addetti totali a 3,8 milioni, pari al 16,5% degli occupati del Paese.
Nel confronto con altri settori produttivi emerge la dimensione di assoluto rilevo della White Economy che, inferiore solamente al complesso delle attività di commercio, supera di molto sia quello del settore delle costruzioni, sia quello dei trasporti. La voce principale del cluster è relativa ai servizi sanitari (il 42,2% del totale), un peso sostanzialmente analogo lo svolgono la previdenza pubblica insieme alle istituzioni sanitarie (17,9%) e la produzione e commercializzazione di prodotti farmaceutici e dispositivi medici (17,7%);seguono la previdenza complementare e le assicurazioni (10,6%) il cui valore della produzione è di poco superiore a quello delle diverse forme di personal care (servizi di assistenza e cura alla persona) (10,4%). In ultimo -1,1% – l’istruzione in campo medico e paramedico.
La produttività, cioè il valore aggiunto generato dalle attività comprese nella filiera rapportato al numero di persone che vi lavorano, è di 60.000 euro per addetto, più che nell’agricoltura, nella ristorazione, nel commercio. Genera inoltre rilevanti effetti moltiplicativi sul resto dell’economia. Ogni 100 euro spesi o investiti nella White Economy attivano 158 euro di reddito aggiuntivo nel sistema economico. E ogni 100 nuove unità di lavoro nella White Economy ne attivano ulteriori 133 nel complesso dell’economia italiana.
Gli ultimi dati sul welfare hanno evidenziato come ci siano grandi difficoltà nell’accesso alle prestazioni socio-sanitarie. Secondo il Censis, meno del 20% degli italiani afferma di trovare risposte ai propri bisogni nella sanità pubblica. L’Italia è divisa in due: nelle regioni del Mezzogiorno l’82,8% della popolazione ritiene non adeguate le prestazioni offerte dal servizio regionale, mentre al Nord-Est e al Nord-Ovest la percentuale scende rispettivamente al 34,7% e al 29,7%. E nel frattempo aumentano i “pellegrinaggi di cura” dalle regioni del Sud verso i sistemi di offerta sanitaria Nord Italia o, in alcuni casi e per alcune specialità, verso sistemi sanitari esteri. La spesa sanitaria pubblica ammonta al 6,8% del Pil del Paese, un valore più basso di quello di Francia (8,6%), Germania (8,4%) e Regno Unito (7,3%). La spesa sanitaria privata è pari al 2% del Pil, un valore inferiore alla media dei Paesi Ocse (2,4%) e al dato di tutti i Paesi europei più avanzati. La quota di spesa privata intermediata da soggetti economici specializzati, è pari oggi al 18% del totale della spesa sanitaria privata, anche in questo caso non siamo al livello dei principali paesi europei.
Dati che fanno riflettere, dunque, e sottolineano ancora una volta come il privato stia diventando importante anzi, fondamentale, per rispondere alle esigenze dei cittadini. Secondo il Censis, nel 2030 saranno più di 4 milioni le persone in cattivo stato di salute, più di 20 milioni saranno i portatori di almeno due patologie croniche. Tra il 2007 e il 2014, la spesa sanitaria pubblica è diminuita del 3,4% in termini reali. L’amministratore delegato di Unipol, Carlo Cimbri presentando la ricerca, ha così sintetizzato: “C’è bisogno di una forte integrazione tra pubblico e privato nel welfare”, un settore nel quale intervenire – ha aggiunto – perché tra quelli “in evoluzione dove le risorse pubbliche su previdenza e sanità si sono ridotte sensibilmente”.
Da qui l’importanza delle società di mutuo soccorso. Mutua Mba, la prima società di mutuo soccorso per numero di soci, da sempre mette il diritto alla salute al centro della vita di ogni individuo. È una organizzazione no profit, che accoglie senza distinguo alcuno persone di ogni età, professione, qualsiasi sia il loro stato di salute o storia clinica. Agisce con un’ottica innovativa dei servizi offerti ed una forte enfasi sulla prevenzione e si propone di essere un modello importante per il welfare del futuro.