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Un figlio anche dopo il tumore, con le banche dei gameti si può
Grazie alle tecniche di crioconservazione dei gameti, c’è un “Futuro fertile” anche per chi ha sconfitto la malattia
Nel nostro Paese, ogni giorno, vengono diagnosticati 30 nuovi casi di tumore a persone che hanno meno di 40 anni, il 3% delle nuove diagnosi di tumore. I giovani pazienti oncologici sono circa 8.000: 5.000 donne e 3.000 uomini. Fino a poco tempo fa, per queste persone pensare di diventare genitori dopo la malattia era praticamente impossibile. Solo un sogno. Erano condannati alla sterilità anche perché purtroppo, troppo spesso, veniva trascurata la possibilità di preservare la fertilità prima di iniziare le terapie, che potevano pregiudicare la capacità riproduttiva. Oggi, con i progressi della ricerca, il sogno può diventare realtà e grazie alle tecniche di crioconservazione dei gameti, anche i giovani che hanno vinto la loro battaglia contro il cancro potranno, se vorranno, farsi una famiglia.
Se ne è parlato lo scorso 22 marzo durante il Focus Oncofertilità, evento conclusivo della campagna “Focus Oncofertilità”, realizzata dal Ministero della Salute in collaborazione con l’UniversitàLa Sapienza di Roma, con lo scopo di promuovere la cultura della prevenzione dell’infertilità. Tra gli altri, hanno partecipato il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, Andrea Lenzi della Sie-Societa’ italiana di endocrinologia, Carmine Pinto dell’Aiom-Associazione italiana di oncologia medica, e Paolo Scollo della Sigo-Societa’ italiana di ginecologia e ostetricia.
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Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’infertilità colpisce circa il 15-20% delle coppie che cercano di avere un figlio. Si parla di infertilità quando, dopo almeno 12 mesi di rapporti sessuali non protetti e mirati, non si ottiene una gravidanza. In alcuni casi non è possibile individuarne una causa. L’apparato riproduttivo, maschile e femminile, è complesso e delicato ed il suo buon funzionamento è influenzato da molti fattori, tra cui l’avanzare dell’età, l’ambiente, il cibo, le abitudini di vita. Purtroppo, l’infertilità colpisce spesso però anche dopo malattie gravi come i tumori. Tema importantissimo, tant’è che il ministro Lorenzin ha annunciato che “il nuovo Piano per la fertilità, finalizzato ad attivare politiche per aumentare la consapevolezza delle coppie sui tempi fisiologici della fertilità e sui comportamenti che possono incidere negativamente sui di essa e sollecitare i professionisti sanitari, riserva una spazio particolare alla preservazione della fertilità nei pazienti oncologici”.
Negli ultimi anni, i notevoli passi avanti nella diagnosi precoce e nel trattamento delle patologie neoplastiche, hanno permesso di prolungare significativamente la sopravvivenza media dei pazienti affetti da malattie tumorali. Molti si sono potuti curare, molti sono guariti. C’è stato un aumento di quelli che chiamiamo “survivors”, giovani adulti che hanno combattuto e vinto un tumore. Per questo è diventato fondamentale prevenire gli effetti a lungo termine delle terapie oncologiche e migliorare il più possibile la qualità di vita dei pazienti dopo le terapie. Ciò significa anche preservare la fertilità, soprattutto perché tanti possono ancora realizzare il loro desiderio di diventare genitori. Sia la patologia tumorale, infatti, sia le cure (chemioterapia, radioterapia, trapianto di cellule staminali, chirurgia), possono infatti compromettere in maniera temporanea o definitiva, il potenziale riproduttivo.
Bisogna inoltre considerare che al momento della diagnosi molte donne ancora non hanno avuto il primo figlio. Secondo dati della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), la percentuale di donne che diventano mamme dopo i 35 anni è del 33,5%. Sono in aumento le neo-mamme con più di 40 anni, che rappresentano oggi l’8% di tutte le partorienti d’Italia. Tra il 2010 e il 2013 sono aumentate del 12%, passando da 34.770 a 39.835.
Sono circa diecimila ogni anno, in Italia, i malati oncologici che hanno problemi legati alla fertilità, ma, secondo stime internazionali, solo uno su due, è informato in maniera adeguata e completa circa la possibilità di crioconservare i propri gameti a fini riproduttivi in futuro. È compito del medico informare sul rischio di infertilità e sulla possibilità per i pazienti di intraprendere percorsi specifici di crioconservazione dei gameti prima di iniziare le terapie. Parlarne, significa non solo che il medico è sensibile, ma, soprattutto, che l’orizzonte è quello di una sopravvivenza a lungo termine, aspetto molto importante dal punto di vista psicologico. E’ uno stimolo straordinario per affrontare con fiducia e con forza il percorso di cura nella prospettiva di progetti importanti, come quello di un figlio.
Tre Società Scientifiche − la Società Italiana di Endocrinologia, SIE, la Società Italiana di Oncologia Medica, AIOM, e la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, SIGO – stanno preparando un documento di consenso (un patto) sulla crioconservazione da proporre alle Istituzioni ed ai pazienti. Questi percorsi dovranno essere sicuri, accessibili e dovranno avere come fulcro banche del seme gestite da una rete di Centri di Oncofertilità che possano rispondere tempestivamente alle esigenze dei pazienti. Per ora, le banche del seme “pure”, cioè strutture nelle quali il paziente può conservare i propri gameti a tempo indeterminato, sono però distribuite nel Paese a macchia di leopardo: sono attive quelle delle università di Torino, Roma Sapienza, Catania, L’Aquila, Firenze e Padova.
Il procedimento è stato spiegato bene da Andrea Lenzi: “Il periodo finestra tra il momento in cui il paziente riceve la diagnosi di tumore e l’inizio della terapia è l’unico spazio utile per la crioconservazione dei gameti. I Centri di crioconservazione devono essere vicini all’utenza in modo che la procedura non ritardi l’inizio delle terapie e al tempo stesso qualificati per gestire il processo di crioconservazione, sottoposto a rigide norme di sicurezza per evitare scambi di gameti o possibili inquinamenti da virus, batteri ed altro”. Nel Lazio, ad esempio, è possibile criocongelare gameti grazie alla banca degli ovociti dell’Istituto Regina Elena di Roma e alla banca del seme del Policlinico Umberto I, prima in Italia, attiva sin dagli anni ‘80.
La crioconservazione del seme o del tessuto testicolare permette di conservare i gameti maschili per un tempo indefinito a -196°C, dopo che il paziente è stato sottoposto ad uno screening infettivologico approfondito. Per quanto riguarda invece le donne, le principali tecniche di crioconservazione sono rappresentate dalla crioconservazione degli ovociti o del tessuto ovarico.
La prima nascita da ovociti crioconservati con la tecnica del congelamento lento risale a 30 anni fa. Da allora sono stati fatti molti passi in avanti, e la crioconservazione ha mostrato eccellenti risultati in termini di sopravvivenza allo scongelamento, fertilizzazione e gravidanza. “I tassi di successo variano a seconda della popolazione di pazienti, della qualità degli ovociti e del numero di embrioni trasferiti, ma fino ad oggi non sono state riscontrate differenze significative nei bambini nati da ovociti freschi e da ovociti congelati con tecniche di fecondazione in vitro in termini di variazione del numero dei cromosomi, difetti di nascita o deficit dello sviluppo”, ha spiegato Paolo Scollo, Presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia.
Infine, ma non meno importate: preservare la funzione ovarica e la fertilità permette di tutelare la salute della donna, evitando una menopausa precoce con tutte le conseguenze negative e i tanti problemi psico-fisici che questa condizione può comportare.