Secondo un recente studio, per le neo mamme l’allattamento al seno dimezza i rischi di diabete di tipo 2.
Sono tanti i benefici, già noti, dell’ allattamento al seno, sia per la mamma che per il bambino.
Per quanto riguarda il bimbo, il latte materno è l’unico alimento naturale che contiene tutti i nutrienti in giusta proporzione, è facilmente digeribile e contiene una serie di fattori che proteggono dalle infezioni e aiutano a prevenire alcune malattie e allergie.
È ormai condiviso a livello internazionale che l’allattamento al seno:
- riduce l’incidenza e la durata delle gastroenteriti
- protegge dalle infezioni respiratorie
- riduce il rischio di sviluppare allergie
- migliora la vista e lo sviluppo psicomotorio
- migliora lo sviluppo intestinale e riduce il rischio di occlusioni.
Non solo: allattare al seno fa bene anche alle neomamme. È economico, senza costi di preparazione, sempre disponibile e alla giusta temperatura. Stimola la naturale contrazione dell’utero, riducendo il naturale sanguinamento post partum e consentendo all’utero di tornare alle sue dimensioni più velocemente. Aiuta a perdere peso e a ritrovare la forma senza la necessità di ricorrere a diete stressanti e drastiche. Secondo alcuni studi, l’allattamento al seno riduce il rischio di osteoporosi dopo la menopausa e contribuisce anche a ridurre il rischio di cancro al seno e all’ovaio (fonte: ministero della Salute).
Ora, da una recente ricerca realizzata da Kaiser Permanente e pubblicata su “Jama Internal Medicine”, è emerso che allattare al seno per almeno sei mesi riduce il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 quasi della metà (47%), rispetto a chi non allatta. E questo beneficio vale anche per le donne che allattano meno di 6 mesi: hanno il 25% in meno di probabilità di ammalarsi.
Come ha spiegato alla stampa l’autrice della ricerca, Erica Gunderson, “abbiamo trovato un’associazione molto forte tra la durata dell’allattamento al seno e il minor rischio di sviluppare il diabete, anche dopo aver considerato tutti i possibili fattori di rischio confondenti”.
Il team ha analizzato i dati di 30 anni di follow-up dello studio Cardia (Coronary Artery Risk Development in Young Adults), un’indagine iniziata negli anni ’80 sui fattori di rischio di malattia cardiovascolare.
Gli esami includevano lo screening biochimico di routine per il diabete nelle donne sia prima che dopo il parto, e negli anni successivi. In tutto, il campione di osservazione è stato di 1.238 donne.
“L’incidenza del diabete è risultata diminuire in modo graduale con l’aumento della durata dell’allattamento, indipendentemente dalla razza, dalla presenza o meno di diabete gestazionale, dai comportamenti di vita, dalle dimensioni corporee e da altri fattori di rischio metabolici misurati prima della gravidanza, implicando la possibilità che il meccanismo sottostante possa essere biologico”, ha sottolineato Gunderson.
Gli ormoni associati all’allattamento hanno probabilmente una influenza positiva sulle cellule pancreatiche che controllano i livelli di insulina nel sangue, e influenzano così anche la glicemia.
Il diabete di tipo 2 è la forma di diabete più diffusa (interessa il 90% dei casi) ed è tipico dell’età matura.
Si è colpiti da questa malattia quando non viene prodotta una quantità sufficiente di insulina per soddisfare le necessità dell’organismo (deficit di secrezione di insulina), oppure se l’insulina prodotta non agisce in maniera soddisfacente (insulino-resistenza). In entrambi i casi, questo provoca l’iperglicemia, cioè aumenta i livelli di glucosio nel sangue.
Alcuni dei sintomi tipi del diabete di tipo 2 sono: stanchezza, frequente bisogno di urinare, sete inusuale, perdita di peso improvvisa e immotivata, visione offuscata e lenta guarigione delle ferite.