Sono tante le donne che dichiarano di essere state vittime di violenza ostetrica al momento del parto.
Il momento del parto dove essere percepito dalla donna come un qualcosa di unico, speciale e la futura mamma deve sentirsi protetta. Invece per alcune non è stato così.
In tutto il mondo molte donne durante il parto in ospedale fanno esperienza di trattamenti irrispettosi e abusanti. Tale trattamento non solo viola il diritto delle donne ad un’assistenza sanitaria rispettosa, ma può anche minacciare il loro diritto alla vita, alla salute, all’integrità fisica e alla libertà da ogni forma di discriminazione.
Cosa vuol dire violenza ostetrica?
Il termine è apparso per la prima volta in alcuni paesi del Sudamerica, quando alcune organizzazioni non governative e i gruppi femministi hanno iniziato a lottare per un miglior accesso delle donne alle cure. Poi l’uso dell’espressione si è diffuso nel mondo anglosassone e più recentemente nel resto d’Europa.
Violenza ostetrica può essere definita come un insieme di comportamenti (in cui rientrano ad esempio l’eccesso di interventi medici, le cure senza consenso o anche la mancanza di rispetto) che hanno a che fare con la salute riproduttiva e sessuale delle donne, declinata sia nella scelta della maternità che, all’opposto, nel suo rifiuto. Secondo L’Organizzazione Mondiale della Sanità, si tratta di atteggiamenti profondamente rappresentativi delle disuguaglianze di genere; si possono infatti descrivere come la forma più invisibile e naturalizzata della violenza contro le donne che, in questo caso, si verifica all’interno dei sistemi sanitari.
E’ importante chiarire che la violenza ostetrica non viene praticata dalle ostetriche: il termine si riferisce all’abuso che avviene nell’ambito generale delle cure ostetrico-ginecologiche e che può essere realizzato da tutti gli operatori sanitari che prestano assistenza alla donna e al neonato (ginecologo, ostetrica o altre figure professionali di supporto). La violenza ostetrica, poi, non fa riferimento a situazioni in cui gli operatori sanitari agiscono deliberatamente per ferire o abusare, ma a situazioni di normalità e non emergenziali: ha dunque a che fare con l’imposizione spesso standardizzata di cure o pratiche alle donne senza il loro consenso, senza fornire le adeguate informazioni e talvolta contro la loro volontà.
Nel 2014 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha scritto un documento dal titolo “La prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere” ed in 5 punti ha spiegato come deve essere la prevenzione e come eliminare l’abuso e la mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere.
Si tratta di abuso fisico diretto, abuso verbale, procedure mediche coercitive o non acconsentite (inclusa la sterilizzazione), mancanza di riservatezza, carenza di un consenso realmente informato, rifiuto di offrire un’adeguata terapia per il dolore, gravi violazioni della privacy, rifiuto di ricezione nelle strutture ospedaliere, trascuratezza nell’assistenza al parto con complicazioni altrimenti evitabili che mettono in pericolo la vita della donna, detenzione delle donne e dei loro bambini nelle strutture dopo la nascita connessa all’impossibilità di pagare. Inoltre, adolescenti, donne non sposate, donne in condizioni sociali o economiche sfavorevoli, donne appartenenti a minoranze etniche, o donne migranti e donne affette da HIV sono particolarmente esposte al rischio di subire trattamenti irrispettosi e abusi.
Sono stati recentemente diffusi i dati emersi dalla prima indagine nazionale sulla violenza ostetrica Doxa- Ovo Italia (Osservatorio sulla Violenza Ostetrica) “Le donne e il parto” dalla quale sono emersi dei dati significativi.
La ricerca, nata su iniziativa dell’Osservatorio sulla violenza Ostetrica Italia è stata condotta dalla Doxa, con il contributo delle associazioni La Goccia Magica e CiaoLapo Onlus. L’iniziativa rappresenta il proseguimento e l’evoluzione della campagna d’informazione e sensibilizzazione #BastaTacere: le madri hanno voce.
Dall’indagine è emerso che nel nostro Paese, sono circa 1 milione le madri, il 21% del totale, che affermano di essere state vittime di una qualche forma di violenza ostetrica, fisica o psicologica, alla loro prima esperienza di maternità. Questo avrebbe causato un trauma tanto che il 6% delle donne, negli ultimi 14 anni, ha scelto di non affrontare una seconda gravidanza, provocando così, secondo le statistiche, la mancata nascita di circa 20.000 bambini l’anno.
L’indagine per l’Osservatorio è stata condotta su un campione rappresentativo di circa 5 milioni di donne italiane di età compresa tra i 18 e i 54 anni con almeno un figlio di meno di 14 anni. I risultati sono stati presentati a Roma, presso il Palazzo delle Esposizioni.
Per 4 donne su 10 (41%) l’assistenza al parto è stata lesiva della loro dignità e integrità psicofisica.
In particolare, la principale esperienza negativa durante la fase del parto è la pratica dell’episiotomia, subita da oltre la metà (54%) delle donne intervistate. Un tempo considerata un aiuto alla donna per agevolare l’espulsione del bambino, oggi, l’OMS la definisce una pratica “dannosa, tranne in rari casi” questo perché si tratta a tutti gli effetti di un intervento chirurgico. Tre partorienti su 10 negli ultimi 14 anni, vale a dire 1,6 milioni di donne (il 61% di quelle che hanno subito un’episiotomia) hanno dichiarato di non aver dato il consenso informato per autorizzare l’intervento. Tuttavia, la pratica dell’episiotomia non sembra essere sparita dalle realtà ospedaliere italiane: 1 donna su 2 l’ha subita, per il 15% delle donne che hanno vissuto questa pratica, pari a circa 400.000 madri, si è trattato di una menomazione degli organi genitali, mentre il 13% delle mamme, pari a circa 350.000, con l’episiotomia ha visto tradita la fiducia nel personale ospedaliero. Il numero più alto di episiotomie viene registrato nelle regioni del Sud e nelle isole, con il 58%, seguite dal centro e Nord-Est con il 55% pari merito, ultimo il Nord Ovest con 49%. Non solo, a fronte di un 67% del campione che dichiara di aver ricevuto un’assistenza adeguata da parte di medici e operatori sanitari, 1.350.000 donne (il 27% delle intervistate) dichiarano di essersi sentite seguite solo in parte dall’equipe medica. Il 6% di neomamme afferma di aver vissuto l’intero parto in solitudine e senza la dovuta assistenza.
“Dai racconti che molte donne ci avevano fatto – ha detto alla stampa Elena Skoko, fondatrice e portavoce dell’Osservatorio sulla violenza ostetrica italia (OVO Italia) – eravamo a conoscenza del fatto che per tante di loro l’assistenza al parto era stata un’esperienza traumatica. Per questo abbiamo promosso la campagna #bastatacere sui social media. Hanno aderito così tante donne, in così pochi giorni, che presto la campagna è diventata virale. Con la nascita dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica, abbiamo deciso di fare un passo in avanti”.
Il desiderio di Alessandra Battisti, cofondatrice dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia è che “di fronte a questa fotografia oggettiva del fenomeno auspichiamo una collaborazione con medici e istituzioni volta ad includere le donne nei processi decisionali, anche politici, che portino ad un cambiamento reale dell’assistenza nella direzione del rispetto e dalla dignità della persona”.
La campagna Basta tacere è nata nel 1972 da parte di alcuni collettivi femministi di Ferrara e ha visto la partecipazione di decine di donne che hanno avuto il coraggio di raccontare le loro storie di abusi e maltrattamenti durante il parto o la gravidanza. La campagna, che ha mantenuto lo stesso nome, è stata ripresa e rilanciata da alcune attiviste nell’aprile del 2016 ed in pochi giorni ha raccolto molte testimonianze da parte di donne che hanno raccontato le loro esperienze negative. Da qui l’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica (OVOItalia) con la finalità di raccogliere dati e storie e di rendere visibile un fenomeno poco conosciuto e riconosciuto dalle donne stesse.