Non se ne parlava da anni ma da meno di due settimane il caso fa tremare nuovamente il sistema sanitario nazionale: una donna di 59 anni è morta di “mucca pazza” all’ospedale di Ravenna. Un decesso, avvenuto il 5 maggio scorso, che è costato a circa 40 medici l’iscrizione nel registro degli indagati. La paziente era stata trasferita da un reparto all’altro con una diagnosi di sospetta polmonite ma il referto finale attribuisce il decesso al cosiddetto morbo della mucca pazza. Gli interi reparti di malattie infettive e neurologia sono finiti sotto inchiesta nel contesto del fascicolo aperto dal Pm Monica Gargiulo per omicidio colposo. Il morbo di Creuzfeld-Jakob negli anni ’80 provocò un’epidemia in Gran Bretagna. Il Pm adesso ha assegnato l’incarico a un medico legale per effettuare l’autopsia che confermi la diagnosi iltima. L’indagine è stata avviata in seguito alla denuncia presentata dalla figlia della donna scomparsa, tutelata dall’avvocato Francesco Furnari, che nominerà un consulente di parte autorizzato ad assistere all’esame autoptico. Le precise cause della mucca pazza tutt’oggi non sono del tutto conosciute e la cosa più misteriosa riguarda i sintomi che si manifestano solo dopo il periodo di incubazione (possono essere psichiatrici, la perdita progressiva della coordinazione motoria, disturbi sensoriali, demenza, mioclono o contrazione dei muscoli).
Di che cosa si tratta per la scienza?
Stando agli esperti, però, la comparsa della malattia neurologica in questione avrebbe per protagonista una forma modificata di una proteina presente nei bovini, il cui nome è prione o proteina prionica cellulare e assimilata a un agente infettivo.
Un incubo quello che si presenta a Ravenna e che riporta la memoria dei più accorti al primo caso di mucca pazza registrato nel Regno Unito nel 1986 quando il laboratorio centrale di veterinaria di Weybridge identificò, in un allevamento nella regione dell’Hampshire, un esemplare dal quadro clinico preoccupante. L’insorgenza della malattia era da ricollegarsi, più che all’uso di farine di carne, a modifiche nel processo di produzione delle stesse: per eliminare l’eccesso di grassi si usavano solventi potenzialmente pericolosi e/o cancerogeni; sospetti di tossicità sul solvente che li doveva sostituire, fecero sì che se ne abbandonasse l’uso, sostituendolo con un processo di semplice pressione, in cui però le temperature raggiunte non erano più in grado di inattivare i prioni, come invece avveniva nell’uso di solventi.
Anni dopo la comunità europea mise al bando definitivamente questa pratica, evitando così il riciclaggio dell’agente infettante attraverso l’utilizzo di carcasse di bovini malati nella produzione di farine di carne e ossi destinate all’alimentazione animale. Nell’ottobre del 2005 inoltre il comitato veterinario dell’Unione europea pose fine al bando che, dalla primavera del 2001, vietava la commercializzazione nell’Unione Europea della carne non disossata (come la bistecca alla fiorentina). Nel 2012 l’Unione europea ha poi ripristinato la possibilità di nutrire il bestiame da allevamento con farine animali.