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“Chi ricerca, ama – insieme contro i linfomi”: la raccolta fondi a sostegno della ricerca della Fondazione Italiana Linfomi

In occasione dell’incontro annuale FIL la premiazione del progetto di ricerca “Mantle First Bio” volto a migliorare l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da linfoma mantellare

La ricerca è l’arma più efficace nella lotta al linfoma, una tipologia di tumore che conta due nuove diagnosi ogni ora e che in Italia nel 2018 ha registrato oltre 15.900 nuovi pazienti. Proprio in occasione della decima edizione della Riunione Nazionale annuale della Fondazione Italiana Linfomi Onlus (FIL), che si terrà a Rimini dal 14 al 16 novembre, la Fondazione ricorda l’importanza della raccolta fondi “Chi ricerca, ama – Insieme contro i linfomi” (www.filinf.it) a sostegno della lotta alla patologia onco-ematologica più diffusa in Italia. 

 

 

 

Grazie alla ricerca scientifica si possono fare dei passi enormi da un punto di vista terapeutico – afferma il presidente della Fondazione Italiana Linfomi, il dott. Michele Spina – lo dimostrano i grandi traguardi ottenuti in nove anni di attività della FIL, che fino ad oggi ha portato avanti oltre ottanta studi clinici, undici commissioni scientifiche e più di mille pazienti arruolati nei progetti di ricerca solo nel 2018”.

A dimostrazione del valore degli progetti di ricerca, nel corso dell’incontro annuale della FIL verrà premiato il progetto “Mantle First Bio”, dell’ematologa Francesca Maria Quaglia, dottoranda di ricerca a Verona, che ha partecipato alla seconda edizione del Bando Giovani Ricercatori” promosso dalla FIL a sostegno dei giovani ricercatori e nel creare equipe di lavoro in rete tra più centri italiani. Tutto questo grazie ad un finanziamento di 100 mila euro di fondi messi a disposizione dalla Fondazione Giulia Maramotti (50%), che da oltre quindici anni sostiene l’attività dell’Ematologia di Reggio Emilia, dalla Fondazione GRADE Onlus (30%) e dalla FIL (20%).

“MANTLE FIRST BIO”, è un progetto di ricerca finalizzato a identificare i caratteri biologici responsabili della resistenza alla terapia nei casi di linfoma mantellare, permettendo la personalizzazione delle cure sul singolo pazie

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“Si tratta di una proposta di ricerca – continua il presidente della FIL, il dott. Michele Spina – che interpreta molto bene la mission della Fondazione, che negli oltre 80 studi clinici portati avanti in 9 anni ha sempre puntato molto sulla medicina personalizzata e la diagnostica avanzata, coinvolgendo più di 1000 pazienti all’anno”.

L’obiettivo è migliorare l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da linfoma mantellare, una patologia aggressiva che rappresenta il 6% dei casi di linfoma non Hodgkin, ad oggi senza possibilità di guarigione, ma che negli ultimi trent’anni, grazie agli importanti traguardi degli studi in merito, ha visto raddoppiare la sopravvivenza, mentre il periodo libero da progressione di malattia è passato da 3 a 7 anni.

 “Lo standard terapeutico per i pazienti giovani è costituito da chemio-immunoterapia e autotrapianto di staminali – spiega la dott.ssa Quaglia – ma una percentuale significativa, circa il 15% dei pazienti, è refrattaria alle cure o destinato a una recidiva precoce, entro i 24 mesi. Il nostro studio si focalizza su questo 15%, mirando a individuare le cause biologiche dell’insuccesso terapeutico per questi soggetti, in modo da personalizzare la cura fin dall’inizio e gestire al meglio la prima recidiva, quando la malattia è ancora potenzialmente curabile. La bassa incidenza di una patologia di per sé piuttosto rara rende indispensabile la connessione tra più centri di ricerca, permettendo di analizzare un database significativo”. Partner del progetto, infatti, sono la dott. Maria Chiara Tisi, ematologa dell’Ospedale di Vicenza e la dott. Paola Sindaco, ematologa e ricercatrice dell’IFOM di Milano, anche loro under 40.

La ricerca di fatto analizzerà in laboratorio il materiale bioptico dei casi di recidiva precoce, in pazienti con età compresa tra i 18 e i 70 anni, che conducevano una vita attiva. In particolare, si puntano i riflettori sul ruolo del recettore della cellula B nei linfociti patologici del linfoma mantellare, per comprendere i meccanismi di mancata risposta alle terapie classiche e predire l’efficacia dei farmaci più innovativi. Inevitabilmente una migliore comprensione della patologia potrà avere ricadute positive per tutti i pazienti con linfoma mantellare, perché permetterà di stratificare meglio la casistica e selezionare la terapia migliore per il singolo paziente. Ciò significa un progresso generale nelle cure di una tipologia di linfoma ancora poco conosciuto e aggressivo, che nella maggior parte dei casi viene diagnosticato in uno stadio avanzato.

“In un momento in cui la ricerca in Italia fatica a trovare finanziamenti – conclude l’ematologa – questa opportunità che la FIL ci dà è una possibilità concreta per migliorare la terapia di molti pazienti, ma anche un riconoscimento di grande valore emotivo per noi ricercatori, che ci dimostra che qualcuno crede nel nostro lavoro”.

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