Da tempo ormai l’Italia si è occupata di rimuovere gli ostacoli della donna lavoratrice, prima con atti di tutela poi con la promozione di azioni positive. Una di queste è espressa dall’articolo 37 della Costituzione: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
Nonostante ciò, varie indagini dichiarano, sia nel nostro Paese che nel resto del mondo, la persistenza di ambienti di lavoro discriminatori e disparità salariali per le donne che lavorano nella scienza e nella medicina, in particolare nel contesto della salute globale. Si denuncia, in particolare, la scarsità di donne nella leadership istituzionale, nonostante la loro sovra-rappresentazione tra i laureati in medicina e scienze e nel mondo della sanità.
La Commission on the Status of Women dell’ONU ha indicato il concetto di disparità salariale e della femminilizzazione della povertà, molto importanti e strettamente correlati tra loro. Il problema è che nelle istituzioni universitarie e sanitarie, il lavoro intellettuale delle donne a volte viene retribuito pochissimo se non per nulla. Gli stage non retribuiti condizionano notevolmente il futuro salario perché favoriscono il lavoro precario ed intensificano le disuguaglianze di reddito. Se per affermarsi e stabilizzarsi professionalmente una donna è costretta a svolgere un lavoro non retribuito, cresce la probabilità che si trovi costretta ad intraprendere relazioni di supporto o dipendenza finanziaria.
Questa continua svalutazione del lavoro femminile contribuisce, in maniera significativa, a determinare e favorire la femminilizzazione della povertà e mina tutti i progressi compiuti verso almeno due dei Sustainable Development Goal (SDG), ovvero il quinto che riguarda l’uguaglianza di genere e l’ottavo sul lavoro dignitoso e la crescita economica. Quindi, le opportunità professionali non rimunerate non risultano essere mai funzionali a far progredire le carriere delle giovani donne; piuttosto limitano le loro possibilità e la loro capacità di mitigare l’impatto della violenza basata sul genere.
Abusi di potere e violenze di ogni genere, riguardano gli ambienti di lavoro discriminatori e le disparità salariali. Al di là della estrazione socio-culturale, è opportuno sottolineare che le donne sopportano un onere sproporzionato di lavoro non retribuito e sottopagato ed investono molto più tempo degli uomini nei lavori domestici e nell’accudimento familiare, verso bambini ed anziani. Un tempo prezioso che devono conciliare con quello investito nella propria professione.
È necessario agire con interventi contro lo sfruttamento normalizzato del lavoro femminile e pagare le donne per il loro lavoro professionale è un’azione immediata contro la discriminazione di genere, la violenza e la svalutazione sistemica dei contributi. È una forma di riconoscimento e contribuisce a rafforzarne lo status sociale, la possibilità di scelta e la capacità di denunciare o superare la violenza di genere.
Un cambiamento sostenibile che miri all’equità di genere richiede il riconoscimento del contributo delle donne in modo tangibile. Esistono delle azioni concrete necessarie per affrontare la questione del lavoro professionale non retribuito delle donne nella scienza e nella salute globale. Di seguito vengono elencate quelle fondamentali:
- Richiamare l’attenzione sul lavoro non retribuito e la questione di equità di genere nel settore della salute e negli ambiti accademici.
- Rispettare le buste paga e i dovuti contributi.
- Farsi promotori di cambiamenti politici locali, nazionali e internazionali che mirino al combattere il lavoro professionale non retribuito.
- Riservare opportunità di sviluppo professionale retribuite a giovani donne strutturalmente emarginate.
- Stipulare stipendi minimi per tutte le giovane professioniste coinvolte in tirocini o percorsi di ricerca.
L’80% delle donne medico ha dichiarato di essere stata svantaggiata nell’accesso ai ruoli apicali, mentre la British Medical Journal continua a pubblicare ricerche che confermano l’importanza della figura femminile in un contesto sanitario. Ad esempio, in Canada incide significativamente nella diminuzione del rischio di morte postoperatorio. Dovremmo prenderne tutti atto e far valere davvero i diritti delle donne medico contro tutte le discriminazioni.