Nella notte tra il 9 e il 10 aprile l’ospedale “Lotti” di Pontedera, in provincia di Pisa, ha dato il benvenuto a ben dieci nuovi nati, quattro femminucce e sei maschietti. Una notizia straordinaria se raccontata nell’ambito di un contesto nazionale segnato da un inverno demografico inedito: nell’ultimo decennio si è assistito ad un crollo costante, passando dai 500mila nati all’anno al record negativo del 2022, con 390mila nascite a fronte di 700mila decessi (dati Istat). Il 2023 poi si è concluso con 380mila nuovi nati sul territorio nazionale, ulteriore calo rispetto all’anno precedente. Si partirà da questi dati il 9 e il 10 maggio in occasione della quarta edizione degli Stati Generali della Natalità, iniziativa finalizzata alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica in merito alle problematiche legate alla denatalità e alle relative auspicabili soluzioni. Sul tema inoltre soli pochi giorni fa è intervenuta la Ministra per la Famiglia, Eugenia Rocella, sostenendo che “la tendenza alla denatalità italiana è grave”. “La disattenzione al tema – ha proseguito – è durata troppi anni per non lasciare conseguenze che richiederanno un lungo arco di tempo per fermare e poi invertire la tendenza. Il calo delle donne in età fertile è ormai troppo pronunciato perché le misure per la natalità possano avere lo stesso effetto che avrebbero avuto quando ancora il numero delle donne giovani era consistente”.
Tuttavia, quello delle culle vuote, è un fenomeno che non appartiene unicamente all’Italia. Come ha ricordato la stessa Ministra, quest’anno ricorrono i trent’anni anni dalla conferenza sulla popolazione del Cairo, occasione in cui ben 179 paesi hanno affermato che sviluppo e popolazione sono strettamente collegati, e che l’empowerment delle donne così come una risposta effettiva ai bisogni di istruzione e salute, compresa la salute riproduttiva, sono strumenti fondamentali per il miglioramento delle condizioni di vita individuali e per uno sviluppo equo e sostenibile. Nel 1994 tuttavia si riteneva che le troppe nascite avrebbero, prima o poi, compromesso l’equilibrio tra risorse e la popolazione. Proprio a quegli anni risalgono i primi programmi “antinatalisti”, a cui oggi si potrebbero addebitare i drammatici dati di cui disponiamo. Tutta l’Europa è interessata dal cosiddetto “tasso di sostituzione” e l’Italia è fra i Paesi che presentano un quadro drammatico.
Ma come si può favorire la natalità? Lavoro femminile, diagnosi e cura della sterilità, maggiore attenzione al percorso nascite e un’educazione sulla maternità e la paternità come valore, il tutto in una strategia a 360 gradi. Sono queste alcune delle soluzioni proposte contro il calo demografico dalla Società italiana ginecologia e ostetricia (Sigo) che lo scorso settembre ha promosso alla Camera il convegno “Natalità: work in progress – insieme per una nuova primavera demografica”