La dipendenza patologica da smartphone è sempre più diffusa tra i nostri ragazzi.
Il migliore amico dei giovani? Lo smartphone.
Fino al 13% degli adolescenti iperconnessi sono a rischio dipendenza patologica e, a causa delle troppe ore trascorse sui dispositivi, sono in aumento tra i 14 a i 18 anni, i disturbi quali ansia, depressione, insonnia e difficoltà cognitive. E’ quello che è emerso dal 22esimo Congresso nazionale della Società italiana di psicopatologia di Roma.
“I giovani 3.0 non riescono proprio a staccarsi da cellulari, tablet, pc, playstation e social media – ha affermato Giovanni Martinotti della Sopsi (Università di Chieti) – e il bisogno di controllare continuamente lo smartphone, magari per chattare, non li abbandona neppure di notte. Spesso rimangono svegli fino all’alba a parlare e giocare con gli amici, leggere notifiche e messaggi. Questi comportamenti vanno ad influenzare negativamente la qualità del sonno, con conseguenze nocive per l’organismo, soprattutto per lo sviluppo del cervello, ed interferiscono sulle attività quotidiane dei ragazzi. I quali si isolano dal resto del mondo, chiusi nella loro stanza, spesso arrivano a rifiutare la scuola e ogni contatto che non preveda l’uso mediato del mezzo tecnologico”.
Il risultato di questo fenomeno, purtroppo in aumento, è che oggi i giovani hanno sempre più difficoltà a gestire la noia e “sono orientati a condividere tutto e subito, senza pensare alle conseguenze che ricadranno su di sé né tanto meno sugli altri, perché poco sensibili a ‘condividere’, paradossalmente, il dolore altrui”.
In che modo capire che si è di fronte ad una vera e propria dipendenza patologica?
“Ci sono alcuni campanelli d’allarme caratteristici – ha spiegato Francesca Pacitti dell’Università dell’Aquila – come l’alterazione del ciclo sonno-veglia, l’isolamento sociale e il mutare di alcuni tratti caratteriali. I genitori quando c’è un’alterazione delle abilità relazionali e sociali devono interrogarsi su cosa sta succedendo ai loro figli e favorire il più possibile il dialogo. Se questo non dovesse bastare, allora è bene rivolgersi a personale esperto. L’obiettivo è favorire un uso intelligente delle tecnologie da parte degli adolescenti, dal punto di vista del tempo e della qualità”.
Per Bernardino Carpiniello dell’Università di Cagliari, “la dipendenza da internet, pur non riconosciuta ufficialmente come patologia nei sistemi diagnostici internazionali, di fatto costituisce un problema clinico per il quale sono stati sviluppati interventi psicoterapeutici specifici, tra cui le psicoterapie di tipo cognitivo-comportamentale, di gruppo o individuali”.
La nuova generazione (e non solo) vive quindi una quotidianità senza una comunicazione diretta, ma sempre più iperconnessa per leggere i messaggi su whatsapp, le news e i post di amici e parenti su Facebook, Instagram, Twitter e se “non c’è campo” si entra in crisi.
La dipendenza patologica da smartphone è stata già analizzata in passato anche dall’ente di ricerca britannico YouGov: più di sei ragazzi, su dieci tra i 18 e i 29 anni, vanno a letto in compagnia del telefono e oltre la metà degli utenti di telefonia mobile, un percentuale apri al 53%, tendono a manifestare stati d’ansia quando si sta scaricando la batteria, hanno poco credito, sono senza copertura di rete oppure senza il cellulare.
Sulla base di questa fotografia dei “giovani tecnologici”, il regista Federico Moccia ha realizzato il suo ultimo film dal titolo “Non c’è campo”, dove immagina la convivenza di un gruppo di ragazzi senza connessione wifi a causa di un black out tecnologico. La sfida dei giovani è proprio quella di ritornare in un’epoca pre-internet senza smartphone e con la “costrizione” di dialogare e guardarsi negli occhi. Riusciranno a sopravvivere?
L’(ab)uso della tecnologia sta portando ad una società priva di contatti umani e con conseguenze sulla salute della mente e del corpo.
Più si è incollati al proprio smartphone e meno si è felici. La conferma arriva da un grosso studio, che ha visto coinvolti diversi psicologi dell’università di San Diego e della Georgia che hanno utilizzato i dati del Monitoring the Future (MtF), e analizzato comportamenti, abitudini e valori di oltre un milione di studenti dell’8°, 10° e 12° anno di scuola (14, 16 e 18 anni), sottoponendo ai ragazzi domande sul tempo passato su cellulari, tablet e computer, sulla qualità e quantità delle loro interazioni sociali (quelle nel mondo reale), e sulla loro felicità in generale.
Obiettivo del sondaggio è stato quello di documentare sulla base di quanto riferito dagli stessi adolescenti, il trend del benessere psicologico (inteso come felicità, autostima, soddisfazione di se stessi, soddisfazione della vita) a partire dal 1991. Il secondo: indagare i possibili meccanismi che sottostanno all’andamento nel tempo della felicità percepita, focalizzandosi in particolare sul tempo passato davanti allo schermo.
La dipendenza patologica da smartphone, la quotidianità costantemente dipendente ad una connessione, secondo gli esperti, inevitabilmente, approderà ad una condizione di isolamento.
“L’abuso dei social network può portare all’isolamento come conseguenza della nomofobia”. Ad affermarlo è Ezio Benelli, presidente del Congresso mondiale di Psichiatria dinamica. “L’utilizzo smodato e improprio del cellulare come di internet può provocare non solo enormi divari fra le persone, ma anche portarle a chiudersi in se stesse, sviluppare insicurezze relazionali o alimentare paura del rifiuto, a sentirsi inadeguate e bisognose di un supporto anche se esterno e fine a se stesso”.
Per Federico Tonioni, psichiatra e psicoterapeuta che si occupa di dipendenze patologiche e guida il Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da web del Gemelli di Roma, che ha recentemente rilasciato delle dichiarazioni in merito al fenomeno, “è una questione più evolutiva che patologica. Il mondo si è evoluto con la tecnologia: i nostri figli nascono con i telefonini e noi non possiamo rapportarci a loro privandoli di questi. Dobbiamo avere un nuovo modo di pensare senza stigmatizzare l’uso dei cellulari, senza sottrarli ai nostri figli come forma di punizione ma imparando – tramite i dialogo – a fargli capire come ci si può rapportare con i cellulari. Considerando che spesso sono i genitori a utilizzarli senza sosta, gli adulti dovrebbero darsi delle regole. Siamo troppo sedotti dalle tecnologie”.
Come uscire da questa situazione e non avere sensi di colpa nei confronti dei figli?
“Spegnere i telefonini – ha suggerito – e insegnare i figli a farlo tramite trattative. Basta far capire loro che con il telefono spento si può comunque vivere”.
Le conseguenze dell’uso eccessivo dello smartphone, oltre che psicologiche sono anche fisiche: trascorrere parecchie ore giornaliere, in media circa 9, connessi alla rete è dannoso per la vista e per la postura perché ne risentono la colonna vertebrale e la cervicale. La raccomandazione è quella di imparare, tutti non solo gli adolescenti, ad alzare di più la testa!