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Famiglia intossicata da funghi, oltre 13mila i casi dal 1998
Una famiglia di Ginosa, nel Tarantino in Puglia, composta da padre, madre e figlio è rimasta gravemente intossicata per aver mangiato funghi velenosi raccolti nelle campagne vicine alla gravina e non sottoposti a controllo sanitario preventivo. In un primo momento, come avviene spesso in questi casi, si è pensato a una indigestione ma il perdurare dei dolori e la presenza di alcuni sintomi come diarrea e vomito hanno riportato a una vera intossicazione. Il capofamiglia infatti è stato immediatamente ricoverato in prognosi riservata nel reparto di rianimazione dell’ospedale Moscati di Taranto ed è in pericolo di vita, mentre moglie e figlio sono stati trasferiti nel nosocomio San Pio di Castellaneta. L’intossicazione sarebbe stata provocata dall’Amanita Phalloides, una delle specie di funghi più velenosi che ci sono in natura.L’Amanita phalloides, nota anche come Amanita falloide o Tignosa verdognola, è un fungo basidiomicete appartenente alla famiglia delle Amanitacea e mortale molto diffuso e il più pericoloso esistente in natura a causa della sua tossicità estremamente elevata e del suo elevato polimorfismo che lo rende somigliante a molte specie, congeneri e no (da qui i nomi popolari di angelo della morte e di ovolo bastardo). L’avvelenamento da A. phalloides ha quasi sempre esito letale e, nel caso che l’avvelenato sopravviva, lo costringe in genere all’emodialisi a vita o al trapianto di fegato.
Negli ultimi vent’anni, ovvero dal 1998 al 2017, sarebbero stati circa 13mila i casi di sospetto avvelenamento da funghi. A darne i dati è il Centro antiveleni (Cav) di Milano che precisa come per 19 pazienti, a causa dei danni al fegato, è stato necessario un trapianto d’organo, mentre per 40 di loro non c’è stato niente da fare. A presentare i dati è il Cav sulla rivista Ben dell’Istituto superiore di sanità, in cui viene data rilevanza all’importanza di un intervento tempestivo, nell’arco di 6 ore. Generalmente il tasso di letalità per intossicazione da funghi con amatossine si aggira tra il 15 e 25%, contro il 6,3% del Cav di Milano, risultato
determinato sia dal rapido arrivo in ospedale dei pazienti, sia dal corretto inquadramento e applicazione del protocollo.
Se si interviene in un periodo che va dai 30 minuti a 6 ore dopo l’ingestione, non dovrebbe esserci pericolo. Se invece si aspetta oltre le 6 ore, il rischio di mortalità è alto. Al Cav di Milano ogni anno arrivano un migliaio di richieste di consulenza da tutta Italia, prevalentemente da medici, ma anche da privati cittadini. In totale, dal 1998 al 2017, sono pervenute 15.864 richieste di consulenza per intossicazione da funghi, di cui 12.813 su casi clinici. Tutti avevano sintomi gastroenterici come vomito, diarrea e grave disidratazione (i più comuni in caso di intossicazione da fungo), che richiedevano un pronto intervento medico. Nella maggior parte dei casi (85%), i disturbi erano dovuti all’ingestione di funghi spontanei raccolti e non controllati da un micologo. In 3.265 pazienti i sintomi sono comparsi dopo più di 6 ore dall’ingestione. A 637 (19,5%) di questi è stata fatta diagnosi certa d’intossicazione da amatossine, 40 (6,3%) sono morti (l’80% di loro è arrivato alle cure tardi, oltre le 24 ore dall’ingestione), mentre 33 pazienti hanno sviluppato insufficienza renale grave e irreversibile.