Sette ottobre – sette novembre, un mese di morte. Sono trascorsi trenta giorni da quando 1500 uomini di Hamas si sono scatenati nei villaggi a Sud di Israele, strappando brutalmente la vita a 1400 persone e imprigionandone più di 240. Immediata è stata la reazione di Israele con raid aerei su Gaza che hanno ucciso più di diecimila persone, tra loro molti minori. Una ennesima guerra che non fa sconti e che, non solo infiamma il Medioriente, ma si presenta come l’apice di un conflitto diventato rovente per la prima volta nel secondo dopoguerra, era il 1947, quando le Nazioni Unite votarono, in seguito allo sterminio di gran parte degli ebrei europei durante l’Olocausto, per la spartizione del mandato della Palestina in due Stati: uno ebraico (Israele) e uno arabo, mai decollato. La lotta tra gruppi armati ebrei, alcuni dei quali erano considerati organizzazioni terroristiche dai britannici, e i palestinesi si accese fino alla dichiarazione di indipendenza di Israele nella primavera dell’anno successivo.
A distanza di un mese, la situazione non migliora. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha anche avvertito che Israele si incaricherà della sicurezza del territorio palestinese una volta terminata la guerra. Intanto, nell’enclave sotto il controllo di Hamas, i servizi sanitari aggiornano un bollettino di vittime sempre più catastrofico: stando al bilancio più recente sono 10.022 i palestinesi morti, la gran parte donne e minori. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha parlato di Gaza definendola un cimitero di bambini. A fronte di questo immane disastro umanitario, le strutture ospedaliere dei territori in guerra, non reggono più e sono prossime al collasso. È questo il difficile quadro presentato dal dottor Abu Abed, vice coordinatore medico di Medici Senza Frontiere (Msf) a Gaza che opera presso l’ospedale di al-Shifa, dove il 3 novembre i missili israeliani hanno centrato almeno un’ambulanza di un convoglio, uccidendo 15 persone. Secondo lo Stato ebraico il convoglio avrebbe trasportato una cellula di Hamas, ricostruzione smentita dal portavoce del ministero della Sanità di Gaza, Ashraf al-Qudra, citato da al Jazeera.
“L’ospedale sta quasi crollando – informa Abu Abed – medici, infermieri e personale sanitario sono esausti e lavorano senza sosta da giorni. Non ci sono farmaci, ci sono molte carenze. I chirurghi stanno operando a terra, sul pavimento, stanno operando ovunque. Non ci sono farmaci anestetici, e i chirurghi stanno operando senza anestesia. Non ci sono antidolorifici, non c’è assistenza post-operatoria. Chiediamo adesso un cessate il fuoco e di lasciare che gli aiuti medici entrino a Gaza e che il personale medico entri e supporti gli ospedali”. La situazione è disperata, come quella della maggior parte degli altri centri sanitari di Gaza. A causa dell’esaurimento delle scorte di carburante e degli attacchi, l’ospedale dell’Amicizia turco-palestinese, supportato da Msf, è ora fuori servizio. Era l’unico ospedale pubblico per i malati di cancro nella Striscia.
Per fare fronte a questa situazione, gli Emirati Arabi Uniti fanno sapere che si occuperanno dell’allestimento di un ospedale da campo a Gaza con 150 posti letti, un reparto di chirurgia e unità per la terapia intensiva per adulti e bambini. L’agenzia di stampa statale Wam ha riportato che cinque aerei sono partiti in direzione Egitto dove le attrezzature saranno caricate e trasferite a Gaza. L’ospedale verrà realizzato in più momento ma ad oggi non è stato fornito un calendario dettagliato delle operazioni di realizzazione.
“Profonda apprensione e preoccupazione per lo stato di salute delle popolazioni coinvolte” è stata inoltre manifestata dalla Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) che mette in luce quattro aspetti principali: la riduzione della capacità di accesso alle cure e di risposta ai bisogni di Salute della popolazione ha un impatto devastante sui feriti e su tutta la popolazione, in primis i soggetti fragili e con patologie croniche e i bambini; il peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie dovuto alla mancanza di cibo, acqua pulita e combustibile per i generatori che alimentano gli Ospedali rischia di causare il diffondersi di patologie infettive epidemiche con conseguenze su entrambe le parti del conflitto e, soprattutto, sui fragili ivi compresi i prigionieri, le cui condizioni di salute destano grande preoccupazione; i tanti interventi in emergenza-urgenza effettuati dal personale sanitario senza l’utilizzo dei corretti presidi o farmaci; il timore di guerre civili, ondate di rifugiati e profughi con effetti catastrofici anche sulla salute mentale di tutte le popolazioni coinvolte e sullo sviluppo dei bambini negli anni a venire.
Gli attacchi sulle strutture e sugli operatori sanitari sono una violazione del diritto internazionale umanitario. “Esprimiamo grande apprezzamento – si legge in una nota stampa diramata dall’Ente – per il lavoro svolto, con spirito di sacrificio e abnegazione, dal personale sanitario di entrambe le popolazioni coinvolte e, al tempo stesso, chiede alle Autorità nazionali ed europee di farsi portavoce, presso le autorità locali, della necessità di cibo e acqua pulita, nonché del ripristino del flusso elettrico presso le strutture ospedaliere, a garanzia del loro essenziale funzionamento”.