Lo chiamano l’oro blu ma non è custodito come qualcosa di prezioso e di insostituibile. I cambiamenti climatici la fanno da padrone ma la condotta dell’uomo non migliora il rapporto con il polmone azzurro del pianeta Terra che sempre di più, di recente, leva verso il cielo una mano chiedendo un immediato ed efficace soccorso.
Istituita nel 1992 al “Summit della Terra” di Rio de Janeiro, con l’intenzione di dedicare una giornata al legame che lega l’umanità all’oceano, e celebrata annualmente l’8 giugno per sottolineare l’importanza vitale del mare come ecosistema fondamentale, quest’anno la Giornata mondiale degli Oceani ha come tema “Together We Can Protect Our Home”, “Proteggiamo insieme la nostra casa”. Lo scopo è quello di chiedere ai Paesi e ai leader del mondo di garantire la buona salute del 30% dei mari entro il 2030. Una sfida?
Una domanda questa a cui risponde il Wwf nel rapporto realizzato per l’occasione e nel quale si legge che, sulla base delle analisi economiche effettuate, si rileva che tutti i sette principali settori marittimi – dal trasporto marittimo all’acquacoltura, dalla nautica da diporto alla pesca ricreativa e su piccola scala – si basano o competono su aree marine chiave, lasciandole in uno stato di grave esaurimento. L’Italia è uno dei paesi più sviluppati in Europa e nel Mediterraneo in termini di biodiversità anche marina che forniscono un capitale naturale significativo: sequestro del carbonio fornito dai nostri mari vale tra i 9,7 e i 129 milioni di Euro l’anno, mentre la funzione protettiva delle praterie marine di posidonia contro l’ erosione costiera ha un valore stimato circa 83 milioni di Euro l’anno. Da questo presupposto nasce l’iniziativa del Wwf ‘A Blue Recovery plan’ che mostra un peggioramento delle prospettive ecologiche ed economiche del Mediterraneo nel 2020 e indica una serie di priorità per ecosistemi sani e posti di lavoro entro il 2030.
Nel Mediterraneo – sottolinea il Wwf – i servizi ecosistemici sono a forte rischio: il 33% degli habitat marini italiani di interesse comunitario, tra cui praterie di posidonia, foreste di macroalghe e coralligene, presentano uno stato di conservazione inadeguato. Questo, proseguono gli esperti dell’associazione ambientalista, a causa delle elevate pressioni cui sono soggetti mari e coste italiani: nel 2015 l’Italia era al terzo posto in Europa per volume di traffico merci via mare e al primo per numero di passeggeri, la prima destinazione crocieristica d’Europa, con 700 porti, una flotta di pesca tra le più grandi in Europa e un settore di acquacoltura in fortissima espansione.
Un continuo stato di emergenza dovuto a diversi fattori (e fenomeni): disastri ecologici, temperature in crescita, immigrazioni, disoccupazione e infine la crisi epidemiologica in atto che, bloccando il traffico marino, ha dimostrato come il tesoro blu (dei mari e degli oceani) debba soffrire meno lo stress a cui è costantemente sottoposto. E’ dunque questo il compito dei leader mondiali in vista del 2030, passare in rassegna i diversi motivi di stress per garantire il mantenimento dell’ecosistema marino, tra le prime fonti dell’economia internazionale.