Oggi si celebra la giornata mondiale dell’epatite, una malattia che ogni anno provoca 1,4 mln di morti. Secondo l’Oms occorre fare molta attenzione ai rapporti sessuali, ma il rischio maggiore di contrarre la malattia si corre attraverso le iniezioni non sicure (circa 2 milioni di persone all’anno) e la condivisione delle siringhe per la droga.
Anche quest’anno, nel mese di luglio, si celebra la giornata mondiale dell’epatite, una malattia che fa molta paura: ogni anno provoca 1,4 mln di morti.
I numeri destano preoccupazione e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rinnova l’invito ai paesi di intensificare gli interventi per prevenire l’infezione da epatite virale e per garantire che le persone infette abbiano una diagnosi precisa e un trattamento opportuno, soprattutto nei casi di epatite B e C cronica che da sole causano approssimativamente l’80% di tutte le morti per tumori al fegato.
Chi sono i soggetti a rischio?
Secondo l’OMS, bisogna fare molta attenzione ai rapporti sessuali, ma il rischio maggiore di contrarre l’epatite si corre attraverso le iniezioni non sicure (circa 2 milioni di persone all’anno) e la condivisione delle siringhe per la droga. Circa 11 milioni di persone che si iniettano droghe hanno l’epatite B o C e sono a rischio anche i bambini nati da madri infette e i partner sessuali del malato.
Le infezioni possono essere evitate mediante l’utilizzo di siringhe sterili che sono specificamente progettate per impedirne il riutilizzo. Sempre secondo l’OMS, c’è “la necessità che tutti i servizi sanitari, per ridurre i rischi, utilizzino oltre al materiale sterile per iniezioni anche altre procedure mediche, per verificare il sangue e i suoi componenti donati anche per l’epatite B e C (così come avviene per l’HIV e la sifilide) e per promuovere l’uso del vaccino contro l’epatite B. Inoltre, sono consigliate pratiche sessuali più sicure, tra cui ridurre al minimo il numero di partner e l’utilizzo di misure di protezione (preservativi)”.
Anche se la prevenzione rimane l’arma principale, oggi sono disponibili diversi trattamenti in grado di curare la maggior parte delle persone con epatite C e controllare le infezioni da epatite B, questi consentono alle persone affette dalla patologia di avere meno probabilità di morire di cancro al fegato e molta meno probabilità di trasmettere il virus ad altre persone. L’OMS “esorta pertanto le persone che pensano di poter essere state esposte a epatite, a fare il test in modo che possano scoprire se hanno bisogno di un trattamento per migliorare la propria salute e ridurre il rischio di trasmissione”.
La prevenzione, la diagnosi e il trattamento precoce sono le armi principali per combattere le malattie.
Per l’epatite B, l’OMS raccomanda il vaccino “sicuro ed efficace in grado di proteggere dalle infezioni per la vita. Idealmente, il vaccino deve essere somministrato il prima possibile dopo la nascita, preferibilmente entro 24 ore. La dose nascita dovrebbe essere seguita da 2 o 3 dosi per completare la serie”. La raccomandazione è rivolta anche agli adulti che hanno aumentato il rischio di contrarre l’epatite B come le persone che hanno bisogno spesso di sangue o emoderivati (ad esempio per i pazienti in dialisi), operatori sanitari, persone che si iniettano droghe, in caso di contatti sessuali di persone con epatite B e le persone con più partner sessuali”.
Lo scorso anno, l’OMS ha emesso le nuove linee guida per il trattamento dell’infezione da epatite B: si consiglia di utilizzare semplici test non invasivi per valutare lo stadio della malattia e per aiutare a identificare chi ha bisogno di cure.
Per l’epatite C invece, ad oggi, non esiste ancora un vaccino in grado di prevenire la malattia, ma questa può essere curata soprattutto se diagnosticata precocemente. Nel 2014 l’OMS ha fornito le indicazioni per la verifica e il trattamento dell’infezione da epatite C. In questo senso l’Organizzazione “raccomanda di fornire i dati sulle persone considerate ad alto rischio di infezione e di garantire un trattamento per coloro che hanno il virus con diversi farmaci efficaci, compresi i nuovi regimi che usano i farmaci solo per via orale”.
La ricerca ha prodotto dei buoni risultati per combattere l’infezione. Il Centro di Malattie infettive dell’Azienda sanitaria di Firenze, diretto dal dottor Francesco Mazzotta, negli Stati Uniti ha presentato i risultati di due importanti studi su una nuova associazione di farmaci per il trattamento di tutti i genotipi del virus dell’epatite C (HCV).
Alle due ricerche hanno partecipato prestigiosi Centri internazionali di cui solo due italiani, uno dei quali appunto quello fiorentino. I lavori sono stati presentati al “The Liver Meeting 2015” dell’Associazione americana per lo studio delle malattie del fegato (AASLD).
Mutua Mba, società di mutuo soccorso, che negli anni ha registrato un incremento esponenziale dei propri associati e ha rafforzato la sua presenza nel settore della sanità integrativa, diventando oggi la più grande Mutua in Italia, ha sempre la massima attenzione all’innovazione nelle cure, anche alla luce dei progressi della ricerca medica e scientifica. Partendo da questi presupposti Mutua Mba, ha pubblicato un’intervista al dottor Pierluigi Blanc, Dirigente di 1° livello della UO Malattie Infettive, Ospedale S.maria Annunziata-ASL 10- Firenze, il quale ha spiegato quali sono stati i risultati raggiunti dall’equipe italiana che ha partecipato agli studi internazionali.
“I due studi a cui abbiamo avuto l’onore di partecipare (solo un altro Centro Italiano insieme al nostro è stato prescelto per tali studi) appartengono agli studi denominati Astral (ditta promotrice Gilead). Con tali studi, per la prima volta, si è voluto verificare l’efficacia di una nuova combinazione di farmaci (sofosbuvir+ velpatasvir) su tutti i genotipi di HCV (1,2,3,4,5,6). Sono stati inclusi più di 1000 pazienti naive e non responder a precedenti trattamenti e una parte di essi presentava una condizione di malattia avanzata con cirrosi compensata. I risultati sono stati recentemente pubblicati sulla prestigiosa rivista “The New England Journal of Medicine”. La risposta completa con eradicazione dell’infezione è stata ottenuta nel 95-99% dei casi. Il nostro Centro ha partecipato agli studi Astral 1 (rivolto ai pazienti di genotipo 1) e Astral 3 (rivolto ai pazienti di genotipo 3). I risultati sono stati in sintonia con quelli pubblicati e, soprattutto, non è stato riscontrato alcun effetto indesiderato maggiore. Il lavoro ha confermato che l’avvento dei nuovi farmaci ad azione antivirale diretta (DAA) ha rappresentato una svolta epocale nella lotta contro il virus HCV”.
La ricerca non si ferma e come ha spiegato il dott. Blanc: “Alle varie combinazioni attualmente disponibili presto si aggiungeranno nuove molecole che amplieranno ulteriormente le possibilità di successo nei confronti dell’infezione da HCV. In questo scenario l’ipotesi di arrivare a una eradicazione del virus non rappresenta più un’utopia. L’unico problema è rappresentato dai costi che, al momento, impediscono un libero accesso, di tutti i pazienti affetti da epatite cronica HCV correlata, alla terapia. L’impegno futuro di tutti gli addetti ai lavori (operatori sanitari, politici, industrie, associazioni dei pazienti) sarà quello di trovare la strada affinché tutti i pazienti possano ricevere cure salvavita, tenendo presente che curare oggi vuol dire prevenire le complicanze dell’infezione da HCV. Questo risultato si accompagnerà sicuramente anche ad un futuro risparmio economico legato all’abbattimento del numero di trapianti di fegato e delle cure per i pazienti cirrotici”.