Grande successo di pubblico per la prima puntata della seconda serie di “Braccialetti Rossi”, fiction trasmessa domenica sera sulla rete ammiraglia della Rai. Si è registrato un boom di ascolti, con 6.683.000 ascoltatori e uno share del 24,34%.
Braccialetti rossi è alla sua seconda edizione, la prima è stata trasmessa lo scorso anno e ha raccontato, in sei episodi, le vicende di un gruppo di giovani adolescenti che, all’interno di una struttura ospedaliera, hanno unito le forze per combattere ognuno la propria malattia. Un mix di gioie, dolori, emozioni che ha tenuto incollati al televisore milioni di telespettatori tanto da decidere di produrne una seconda serie.
La fiction tratta dal libro “Se credi nei sogni, i sogni si creeranno” di Albert Espinosa, malato di cancro che ha trascorso 10 anni della sua adolescenza in ospedale, un miracolato, uno di quelli che ce l’ha fatta. La sua è una raccolta di esperienze attraverso la quale ha voluto raccontare al mondo che anche i momenti più brutti che la vita ti mette davanti, si possono trasformare in gioie.
E grazie proprio ad una maggiore comunicazione, informazione ed a una migliore capacità di diagnosi, che oggi sono stati fatti grandi passi in avanti.
Dal rapporto 2012 “In Italia i tumori dei bambini e degli adolescenti” dell’Associazione Italiana registro tumori, AIRTUM, e Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica, AIEOP, emerge infatti che l’aumento dell’incidenza sui nuovi casi di tumori infantili dalla seconda metà degli anni novanta si è arrestato. I bambini e gli adolescenti che muoiono di tumore sono meno, nel 2008 i decessi sono circa un terzo di quelli registrati negli anni settanta.
Se da una parte i mass-media con i loro mezzi, attraverso fiction e campagne di sensibilizzazione, sono scesi in campo, dall’altra anche le associazioni di categoria promuovono iniziative per far sì che i riflettori su un tema delicato come quello dei tumori degli adolescenti, non vengano mai spenti.
A tal proposito, qualche giorno fa, si è svolto a Milano il convengo “Io adolescente con tumore: L’ospedale che vorrei”, patrocinato dal Ministero della Salute, dalla Regione Lombardia, dal Comune di Milano e da EXPO 2015 e noi di Mutua Basis Assistance ne abbiamo parlato con il responsabile dell’incontro, coordinatore del Progetto Giovani dell’Istituto dei tumori di Milano, nonché fondatore di SIAMO, Società Italiana Adolescenti con malattie Onco-ematologiche, il dottor ANDREA FERRARI, che ci ha spiegato il perché di questa iniziativa.
“L’incontro si è svolto in occasione della XIII Giornata Internazionale contro il cancro Infantile, con FIAGOP, Federazione Italiana Associazioni Genitori Onco-ematologia Pediatrica, AIEOP, Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica e SIAMO. Io adolescente con tumore: L’ospedale che vorrei è il titolo che abbiamo voluto dare al convegno perché è importante che i giovani abbiano a disposizione una struttura adeguata alle loro esigenze visto che non ci sono abbastanza ospedali attrezzati per le cure delle neoplasie che colpiscono gli adolescenti. Un dibattito non per i giovani ma dei giovani, loro sono stati al centro del dibattito, attraverso il quale hanno raccontato le esperienze e testimonianze personali. Per noi è fondamentale che la loro voce si diffonda il più possibile perché questa ha una valenza e un impatto più forte verso coloro che hanno affrontato e che affronteranno le stesse problematiche. Da parte nostra, la prima cosa da fare è imparare ad ascoltarli e poi farci guidare da loro. Durante il convegno sono state presentate non solo testimonianze, come quella “perchè io?”, “TVB”, “Come mi curerai?”, ma anche rappresentazioni di alleanza tra medico e paziente”.
Dottor Ferrari, quali sono i tumori più diffusi tra gli adolescenti?
“Le leucemie, i tumori celebrali, i sarcomi e i carcinomi”.
Quanti ce la fanno?
“Su 10 pazienti, 7 guariscono. C’è ancora tanto da lavorare per cercare di ridurre il 30%”.
Il duro lavoro è finalizzato anche allo sviluppo di spazi ad hoc per le cure dei ragazzi. Gli adolescenti sono pazienti peculiari che si trovano “al confine” tra l’oncologia pediatrica e quella adulta.
In Italia, ogni anno, si ammalano di tumore 1800 bambini e 800 adolescenti. Le probabilità di guarigione globale sono intorno al 70%, ma a parità di malattia, un adolescente ha minori probabilità di guarigione di un bambino. Il problema è proprio l’accesso alle strutture e alle migliori cure.
Per il dottor Andrea Ferrari sono due i fattori determinanti: il primo è biologico, perché alcuni tumori che colpiscono gli adolescenti sono più cattivi rispetto ad altri, il secondo è il ritardo diagnostico, con la responsabilità sia da parte del paziente che del medico.
“Gli adolescenti arrivano tardi alle cure – ha spiegato Ferrari – e la diagnosi precoce invece è fondamentale per il successo delle terapie. Abbiamo condotto uno studio dal quale è emerso che se per il bambino dal primo sintomo alla diagnosi passano 40 giorni, per gli adolescenti ne trascorrono 140. Questo perché c’è la perdita del controllo da parte dei genitori e una forma di indipendenza e poca fiducia nei confronti dei medici da parte dei giovani. Per ridurre il ritardo diagnostico il Progetto Giovani ha pensato quindi di investire sul problema sulla scarsa comunicazione, utilizzando gli strumenti dei quali si servono i giovani, come internet e youtube”.
Se da una parte il ritardo diagnostico può dipendere dai tempi medio-lunghi che il paziente e la sua famiglia si rivolge al medico dopo la comparsa dei primi sintomi, dall’altra l’interpretazione di questi da parte del primo medico e dal tempo impiegato per rivolgersi ad un centro oncologico.
“Sono pochi e questo è il terzo fattore a cui faccio riferimento. Nel 2011 è nato“Il Progetto Giovani” dell’istituto dei tumori di Milano e l’altro è l’Area Giovani del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano sorto nel 2007.
I pazienti adolescenti sono ammessi a reparto, day-hospital e ambulatorio pediatrico e sono curati dallo stesso personale che si occupa dei bambini. In questo modo, i ragazzi possono usufruire della presa in carico globale tipica dell’oncologia pediatrica in cui il paziente e la sua famiglia, e nel caso dei ragazzi grandi anche gli amici o la fidanzata, sono seguiti da una squadra di specialisti in cui gli oncologi lavorano in stretta collaborazione anche con psicologi, assistenti sociali, esperti di fertilità, esperti di make-up. All’interno del reparto di pediatria, però, i pazienti adolescenti hanno accesso a servizi e spazi specifici rivolti a loro”.
E con la stessa filosofia locale si è voluti andare oltre con la creazione di un movimento a carattere nazionale. Qualche mese fa, è nata infatti, SIAMO, Società Italiana Adolescenti con malattie Onco-ematologiche, che promuove iniziative per adolescenti e giovani adulti malati di tumore.
“SIAMO è un movimento culturale – ha detto Ferrari – che si occupa delle peculiarità e dei bisogni degli adolescenti che hanno meno possibilità di accedere nei centri di eccellenza e ai protocolli clinici con la conseguenza di avere minori probabilità di guarire dei bambini a parità di condizione clinica.
SIAMO è composta da medici, infermieri, psicologi assistenti sociali, pazienti. familiari, amici testimonial, è promossa da FIAGOP (federazione Italiana Associazioni Genitori Oncoematologia Pediatrica, AIEOP, Associazione Italiana Ematologia oncologia Pediatrica e SIE Società italiana di Ematologia, proprio per estendere al livello nazionale il progetto giovani.
Durante il percorso terapeutico si crea un’alleanza tra il team di medici e il paziente, ma nella fase iniziale, come ha spiegato, spesso c’è una mancanza di fiducia del ragazzo nei confronti del medico. Come arrivate a instaurare un rapporto equilibrato?
“Il rapporto tra il paziente e l’equipe di specialisti, è un percorso lungo che alla fine porta ad relazione solida.
La prima reazione dell’adolescente è la rabbia, il giovane non vuole parlare con nessuno, passano le loro cure in apnea chiusi nelle stanze, interrompono il contatto con il mondo esterno. Ecco, in questo contesto, noi interveniamo per un’azione opposta. Il paziente prima di tutto è un ragazzo giovane quindi per noi è fondamentale fare in modo che viva la sua vita all’interno della struttura ospedaliera importando la realtà esterna tipica di un adolescente. I ragazzi studiano, incontrano amici e fidanzati.
Inizialmente cerchiamo di fare uscire il giovane dallo stato di isolamento perché solo uscendo dalla sua stanze e confrontandosi con i coetanei, che si trovano nella stessa condizione, il ragazzo si apre all’esterno e si sviluppano quelle forze necessarie per superare la malattia”.
E la famiglia? Si costruisce una vera e propria rete tra voi e il nucleo familiare?
“Sì, la famiglia è fondamentale. Un equilibrio con loro è importantissimo per tutti, il nucleo familiare è sempre presente per il cammino verso la guarigione. Ci sono stati anche dei casi in cui è stato il ragazzo a dare coraggio ai familiari. Il percorso della presa in carico del paziente prevede specialisti, noi abbiamo 3 psicologi che supportano pazienti e famiglie che hanno bisogno di aiuto.
Qual è il messaggio di speranza che rivolge alle famiglie?
“Voglio far capire che l’Italia è un paese all’avanguardia, che abbiamo cure adeguate e non c’è bisogno di uscire fuori dal nostro Paese. La malattia si può risolvere, spesso si risolve, ma dobbiamo fare in modo di cambiare le situazioni che non vanno con l’aiuto delle Istituzioni. Solo un lavoro di squadra può portare ai risultati sperati.”
E le Istituzioni ci sono. Al convegno, infatti, ha partecipato,attraverso un video messaggio, anche il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa perché è di incoraggiamento e speranza verso tutti e aiuta a capire come deve essere strutturato l’ospedale per le cure degli adolescenti, sopratutto i reparti di oncologia. Il Ministro ha avuto la possibilità di visitare diverse strutture ospedaliere e ha notato proprio che gli ospedali pediatrici sono fatti per bambini e non per gli adolescenti. la conseguenza è che quando un giovane si trova all’interno di queste strutture, in un momento delicato della malattia, si trova in un contesto che tende ad emarginarlo. A tal proposito, è necessario fare in modo che le strutture ospedaliere, con i giusti mezzi, siano luoghi adatti alle esperienze e alla possibilità di sviluppare una vita simile a quella degli altri.