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Gli stranieri portano malattie?
Che sia il recente caso di epidemia conclamata di sifilide in Australia, le due tragiche morti di bambini nel campo migranti statunitense al confine con il Messico o le limitazioni di accesso al sistema sanitario nazionale introdotte nel Regno Unito, l’aspetto delle interazioni umane fra comunità diverse e degli spostamenti di intere comunità in relazione all’andamento del contagio di malattie di qualunque tipo, delle cure mediche e delle inevitabili ripercussioni di tipo sociale costituisce un punto di discussione particolarmente acceso nel mondo attuale, che vede movimenti migratori forti da e verso tutti i Paesi.
A questo proposito, uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, svolto in collaborazione con l’Istituto Nazionale per la Salute, la Migrazione e la Povertà ha avuto nei giorni scorsi ampio risalto sulla stampa nazionale. Lo studio riprende e conferma in chiave europea e italiana molti dei temi globali precedentemente esposti nell’interessante ricerca della UCL-Lancet Commission for Migration and Health pubblicata nel dicembre 2018. La commissione UCL-Lancet, analizzando alcune fra le più comuni convinzioni relative alle modalità di contagio fra popolazioni locali e popolazioni “migranti” nel mondo, ha infatti spiegato e sfatato molti dei miti incentrati sulla paura dello “straniero che ci invade e porta malattie”.
Health Online, il periodico sulla sanità integrativa del gruppo Health Italia, ha voluto approfondire l’argomento con la collaborazione del professor Francesco De Domenico, esperto e docente universitario di Sociologia della Comunicazione, che ha risposto ad alcune domande volte a comprendere meglio come e perché nascano questi luoghi comuni, in un’ottica sia mondiale che più strettamente italiana.
Secondo le statistiche ISTAT l’Italia è il Paese europeo con l’età media più elevata, ha spiegato il professore. “Oggi in Italia gli immigrati sono il 10% della popolazione residente, ma nella percezione popolare diffusa sarebbero ben il 28%. Quindi il fenomeno viene amplificato in modo tale da moltiplicare le ansie e la paure”. È normale allora che “[…] una società anziana, che continua ad invecchiare causa il continuo calo della natalità, si nutra anche di ansie e di paure: paure per l’economia, per il futuro, per i figli e i nipoti quando ci sono, e per la salute”. Uno sbocco spontaneo di queste paure è naturalmente quella verso lo straniero che, secondo il professore, “in Italia non può far leva come altrove su gravi episodi di terrorismo islamista, dato che sinora, per fortuna o per altre ragioni, il paese ne è andato praticamente esente […] E allora il bersaglio della xenofobia si sposta sulla paura per la salute, anche qui amplificando pochi e limitati casi di malattie, che comunque non hanno mai provocato contagi né epidemie, che se si fossero verificati sarebbero stati subito esasperati dai media”.
L’intervista completa con una analisi accurata del documento UCL-Lancet originario sarà pubblicata nel prossimo numero di Health Online.