La Voce di MBA

IL BILINGUISMO È SINONIMO DI INTELLIGENZA?

bilinguismo

bilinguismo

In questi giorni nel Web ha fatto clamore una video-intervista che il giovanissimo Cristian Totti, ha rilasciato a Madrid nel corso di un torneo internazionale di calcio.
La decisione del ragazzo, arruolato nelle giovanili della Roma nonché figlio dell’ex capitano Francesco Totti, di non tirare a porta vuota per fermarsi a controllare che il portiere avversario, con il quale aveva appena avuto uno scontro fortuito, stesse bene, ha colpito tutti per il fair play in campo.
Forse ancor più del bel gesto sportivo, in Italia ha suscitato ammirazione la naturalezza dimostrata nel rispondere in un inglese fluido alle domande della giornalista spagnola.
È vero che da noi, purtroppo non avvezzi sin da piccoli al multilinguismo come invece avviene in altri paesi, chi parla bene idiomi altrui è una perla rara, ed è verissimo che sapersi esprimere in più lingue apre letteralmente le porte di nuovi mondi e conoscenze; viene però spontaneo chiedersi se non sia forse eccessivo l’atteggiamento quasi di reverenza che dimostriamo sempre davanti a qualcuno che “sa l’inglese” (o il francese, e chi più ne ha più ne metta).
In effetti sono numerosi gli studi che evidenziano l’influenza del bilinguismo, o comunque dell’apprendimento di più lingue, sulla struttura e sulle funzioni del cervello umano.
Di recente hanno attratto molta attenzione i risultati pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) scaturiti da una ricerca italiana dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.
Sebbene i meccanismi di azione non siano ancora completamente noti, sono stati evidenziati impatti significativi sullo sviluppo di parti specifiche della corteccia cerebrale e delle connessioni sinaptiche che si ripercuotono in modo estremamente positivo su vita privata e personale.
Aspetti come sicurezza e autostima, capacità decisionale, strategie di pensiero, elasticità, flessibilità e prestazioni cognitive (memoria, lettura, scrittura, parola) risultano sicuramente incrementati, anche in età avanzata o in presenza di malattie degenerative quali l’Alzheimer e la demenza senile. È come se il bilinguismo creasse una riserva cognitiva, per usare l’espressione utilizzata dai ricercatori del San Raffaele. Nel comunicato stampa rilasciato dall’Ospedale la coordinatrice dello studio, professoressa Daniela Perani (direttrice dell’Unità di Neuroimaging molecolare e strutturale in vivo nell’uomo dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e docente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano), spiega: «È proprio perché una persona bilingue è capace di compensare meglio gli effetti neurodegenerativi della malattia di Alzheimer, che il decadimento cognitivo e la demenza insorgeranno dopo, nonostante il progredire della malattia». (http://www.hsr.it/press-releases/perche-parlare-due-lingue-protegge-dallalzheimer/)
Si può insomma affermare, in parole semplici, che il bilinguismo mantiene giovane il cervello e rende più intelligenti?
Sembra proprio di sì, e gli studi effettuati all’estero corroborano i risultati delle ricerche italiane. È importante in tal senso il lavoro a lungo termine dell’Università di Edimburgo pubblicato sugli Annals of Neurology (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1002/ana.24158), nel quale 262 persone di età variabile (a partire dall’infanzia) sono state sottoposte a test cognitivi in periodi di tempo successivi dal 1947 a oggi. Nel corso degli intervalli fra un test e l’altro, i partecipanti hanno studiato almeno una lingua straniera, poi regolarmente utilizzata: alla fine, è emerso chiaramente che, anche indipendentemente dall’età nella quale la seconda lingua è stata appresa, chi pratica regolarmente il bi/multilinguismo vede le proprie capacità intellettuali migliorare, invece di ridursi, nel tempo.
Quindi l’atteggiamento degli Italiani non è poi tanto esagerato: “saper parlare le lingue” fornisce davvero una marcia in più, non solo dal punto di vista culturale e sociale.
 
 
 

Exit mobile version