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Il Papa ai medici: “Non siate proprietari delle cure ma rispettate ogni singola vita come dono”
Il dovere dei medici è “rispettare il dono della vita dall’inizio fino alla fine”. Lo ha detto il Papa ricevendo in udienza in Vaticano la Federazione internazionale delle associazioni mediche cattoliche. “Non siamo noi i proprietari della vita, che ci viene solo affidata, e i medici ne sono i servitori”, ha ribadito Francesco chiarendo che ciascun medico è chiamato a “curare con delicatezza e con il rispetto della dignità delle persone”. Un discorso articolato quello del Pontefice partito con alcune riflessioni sulle prime comunità cristiane che hanno spesso presentato Gesù come “medico”, mettendo in risalto l’attenzione costante e piena di compassione che aveva per quanti soffrivano di ogni genere di malattia. “La sua missione – ha detto – consisteva prima di tutto nel farsi vicino alle persone malate o segnate da disabilità, specialmente a quelle che a causa di ciò erano disprezzate ed emarginate. In questo modo Gesù spezza il giudizio di condanna che spesso etichettava il malato come peccatore; con questa vicinanza compassionevole, Egli manifesta l’amore infinito di Dio Padre per i suoi figli più bisognosi”.
La cura delle persone malate, per il Papa, appare come una delle dimensioni costitutive della missione di Cristo; e per questo è rimasta tale anche in quella della Chiesa. “Nei Vangeli – ha infatti rammentato ai medici presenti nella straordinaria Sala Regia – è evidente il forte legame tra la predicazione di Cristo e i gesti di guarigione che Egli compie per quanti sono «tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici» – così Matteo (4,24).
Bergoglio ha dunque spiegato che per Gesù curare è sinonimo di approssimarsi, ovvero avvicinarsi alla persona, “anche se a volte – ha aggiunto – ci sono alcuni che vorrebbero impedirlo, come nel caso del cieco Bartimeo, a Gerico. Gesù lo fa chiamare e gli chiede: «Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Mc 10,51)”. Infine, l’atto del curare coincide anche con il rialzare la persona e inviare colui o colei che ha avvicinato e curato. Dunque, l’invito rivolto ai professionisti della sanità è di rapportarsi al malato avvicinandosi, prendendosene cura, guarendo. “Ed è a questa scuola di Gesù medico e fratello dei sofferenti – ha dunque detto il vescovo di Roma – che siete chiamati voi medici credenti in Lui, membri della sua Chiesa. Chiamati a farvi vicini a coloro che attraversano momenti di prova a causa della malattia. Siete chiamati a dare le cure con delicatezza e rispetto della dignità e dell’integrità fisica e psichica delle persone. Siete chiamati ad ascoltare con attenzione, per rispondere con parole adeguate, che accompagnino i gesti di cura rendendoli più umani e quindi anche più efficaci. Siete chiamati a incoraggiare, a consolare, a rialzare, a dare speranza. Non si può curare ed essere curati senza speranza; in questo siamo tutti bisognosi e riconoscenti a Dio, che ci dona la speranza. Ma anche riconoscenti verso quanti lavorano nella ricerca medica”.
Una riflessione ha riguardato anche i progessi fatti negli ultimi cent’anni dalla medicina con nuove terapie e numerosi trattamenti in stato di sperimentazione. Cure del tutto impensabili nelle generazioni passate. “Possiamo e dobbiamo alleviare la sofferenza ed educare ciascuno a diventare più responsabile della propria salute e della salute di vicini e parenti. Dobbiamo anche ricordarci che curare vuol dire rispettare il dono della vita dall’inizio fino alla fine. Non siamo noi i proprietari: la vita ci viene affidata, e i medici ne sono i servitori”, ha così detto. Infine, l’esortazione: “Lo stile di un medico cattolico unisce la professionalità alla capacità di collaborazione e al rigore etico. E tutto ciò va a beneficio sia dei malati sia dell’ambiente in cui operate. Molto spesso – lo sappiamo – la qualità di un reparto è data non tanto dalla ricchezza delle strumentazioni di cui è dotato, ma dal livello di professionalità e di umanità del primario e della squadra dei medici. Questo lo vediamo tutti i giorni, tanta gente semplice che va in ospedale: “Io vorrei andare da quel dottore, da quella dottoressa – Perché? – Perché sentono la vicinanza, sentono la dedizione”.