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Influenza stagionale, picco per fine gennaio
Puntuale come un orologio svizzero anche quest’anno la tanto temuta influenza stagionale non si è fatta attendere. Il picco è previsto per fine gennaio, ma nel periodo post festività natalizie sono stati 286mila gli italiani messi a letto dall’influenza a cavallo del nuovo anno, nella settimana che si è chiusa il 5 gennaio. In totale il virus sta cominciando a sfiorare i due milioni di casi, per la precisione circa 1.877.000.
Colpiti maggiormente i bambini al di sotto dei cinque anni, in cui si osserva un’incidenza pari a 10,4 casi per mille assistiti. Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Campania sono le Regioni maggiormente colpite.
“Stiamo entrando nella fase di picco dell’influenza stagionale. Tra Capodanno e l’Epifania abbiamo registrato un incremento dei casi”, ha spiegato Silvestro Scotti, segretario della Federazione italiana dei medici di medicina generale. Dopo febbre alta, nausea, disturbi intestinali, l’influenza diventa ancora più forte e porta con se nuovi virus, provocando polmonite e bronchite. “Dall’inizio di gennaio abbiamo avuto almeno un 20% in più di persone colpite – ha aggiunto Scotti – e questo si è rilevato sull’intero territorio nazionale. Abbiamo visto soprattutto un aumento delle complicanze di tipo respiratorio e bronchiale con alcuni casi più gravi di polmonite”.
Secondo il Ministero, “i sintomi dell’influenza includono tipicamente l’insorgenza improvvisa di febbre alta, tosse e dolori muscolari. Altri sintomi comuni includono mal di testa, brividi, perdita di appetito, affaticamento e mal di gola. Possono verificarsi anche nausea, vomito e diarrea, specialmente nei bambini. La maggior parte delle persone guarisce in una settimana o dieci giorni, ma alcuni soggetti (quelli di 65 anni e oltre, bambini piccoli e adulti e bambini con patologie croniche), sono a maggior rischio di complicanze più gravi o peggioramento della loro condizione di base”. In questi giorni si è registrato il picco di bronchiolite all’ospedale Bambino Gesù di Roma. “Abbiamo registrato un record di accessi in pronto soccorso per questa infezione delle vie respiratorie, che colpisce i bimbi e torna a presentarsi nella stagione fredda. Ormai siamo al picco. E se gli accessi per questa patologia sono poco più di 1.000 l’anno qui da noi, il 50% dei piccoli pazienti viene ricoverato”. A segnalarlo all’AdnKronos Salute è Antonino Reale, responsabile di Pediatria dell’emergenza del Bambino Gesù di Roma.
Le forme più severe colpiscono in genere i bambini più piccoli di età, e come ha spiegato Reale, “soprattutto quelli più fragili: prematuri, cardiopatici o con problemi immunitari. Si tratta di una patologia che allarma moltissimo i genitori e questo anche se i primi sintomi, specie in questo periodo dell’anno, possono essere sottovalutati. Ma è importante dire che non sempre occorre andare in pronto soccorso”. All’inizio la bronchiolite si presenta con raffreddore e un po’ di tosse, mentre dopo circa 4 giorni arrivano i sintomi più preoccupanti: “Espirazione prolungata con sibilo, affanno, dispnea”.
Nessun allarmismo, ma qualche utile consiglio, da parte del responsabile di Pediatria dell’emergenza del Bambino Gesù di Roma, su come comportarsi e a chi rivolgersi. “All’origine possono esserci diversi virus, il più comune – ha aggiunto Reale – è il virus respiratorio sinciziale, ma anche il rinovirus o l’adenovirus. E gli esami condotti sui piccoli pazienti ci dicono che spesso sono presenti più patogeni contemporaneamente. Il primo consiglio è quello di rivolgersi al pediatra di famiglia: con il saturimetro può valutare l’ossigenzazione. Normalmente è del 97-98%, ma se scende sotto il 93%, il bimbo si affatica e non mangia, allora è opportuno portarlo al pronto soccorso”.
Qual è la terapia? “Nei bimbi più grandi – conclude Reale – si possono utilizzare anche cortisonici e broncodilatatori, che però funzionano poco”. L’importante è non pensare di risolvere con l’antibiotico: Se non c’è una sovrainfezione batterica, questo tipo di medicinale è perfettamente inutile. Inoltre, non bisogna allarmarsi se il bimbo non migliora rapidamente: il decorso – conclude l’esperto – è di 14 giorni, senza sconti”.