Da diversi anni oramai il 18 febbraio ricorre la giornata mondiale della sindrome di Asperger.
Hans Asperger fu un pediatra tedesco che negli anni Trenta a Vienna condusse diversi studi sui disordini mentali particolarmente nei bambini, soprattutto nel settore in seguito identificato come “spettro autistico”. Sebbene quasi completamente ignorato da vivo, negli anni Ottanta il suo lavoro venne riscoperto e rivalutato, almeno in parte, al punto che il suo nome venne scelto per definire l’omonima sindrome. Una scelta decisamente infelice, però, dato che presto nacquero polemiche legate al fatto che il dottore è stato inequivocabilmente associato al Terzo Reich partecipando attivamente ai programmi di selezione della razza e individuando bambini mentalmente disabili (inclusi quelli affetti da autismo e sindrome di Asperger fra i suoi stessi pazienti) da inviare ai campi di sterminio, come evidenziato, fra gli altri, nel dettagliato articolo del New York Times e successivamente confermato in varie ricerche. Un passato che indubbiamente intacca, o comunque mette in una prospettiva completamente diversa, tutto il suo lavoro, e che basterebbe da solo a voler comunque rivedere la definizione della sindrome.
A questo si aggiunge il fatto che dal 2013 il DSM-5, ossia la classificazione standard dei disturbi mentali realizzata dalla American Psychiatric Association, punto di riferimento ufficiale per i professionisti del settore negli Stati Uniti e nel mondo, inquadra la sindrome di Asperger all’interno della famiglia di disturbi dello spettro autistico (DSA), insieme ad autismo e disturbo generalizzato (pervasivo) dello sviluppo non altrimenti specificato. La modifica degli standard è stata accolta nel 2018 anche dall’OMS nel documento ICD-11 che verrà presentato e progressivamente implementato in tutti i Paesi europei che fanno parte dell’organizzazione a partire da quest’anno con l’obiettivo della completa aderenza alle nuove definizioni e procedure entro il 2022.
Quindi, perché continuare a sottolineare la ricorrenza del 18 febbraio?
In realtà, sebbene la definizione di sindrome di Asperger intesa come categoria a sé stante non venga o non verrà più utilizzata in ambito clinico, il sito della associazione Autism Speaks spiega che molti di coloro precedentemente diagnosticati continuano a identificarsi come “Aspi”, anche per sottolineare le capacità linguistiche e intellettuali avanzate che li contraddistinguono, collocandosi in quella che viene attualmente definita in gergo definita la fascia “high functioning” dello spettro autistico.
Le caratteristiche generali della condizione sono:
- Difficoltà nelle interazioni sociali
- Aree di interesse limitate
- Desiderio di ripetitività
- Punti di forza distintivi.
In particolare, i punti di forza possono essere:
- Notevole capacità di concentrazione e persistenza
- Propensione a riconoscere schemi e tendenze (pattern)
- Attenzione ai dettagli.
Invece, gli aspetti problematici possono includere:
- Ipersensibilità specifiche (luci, suoni, sapori, odori, ecc.)
- Difficoltà nell’alternanza di parola e ascolto nelle conversazioni
- Difficoltà con gli aspetti non verbali delle conversazioni (distanza, volume della voce, tono, ecc.)
- Movimenti scoordinati o goffaggine
- Ansia e depressione.
Queste caratteristiche variano significativamente da individuo a individuo. Molti imparano a gestire gli aspetti più difficili valorizzando i propri punti di forza.
A prescindere dalle differenziazioni ufficiali e ufficiose, i numeri dei disturbi dello spettro continuano a crescere: ad oggi, riportano i CDC, negli Stati Uniti un bambino su 59 riceve una nuova diagnosi di disturbo dello spettro autistico.
È quindi molto importante continuare a informare e sfatare miti e pregiudizi e dipanare la confusione che può nascere in merito alle varie sfumature dello spettro: in tal senso le giornate mondiali della sindrome di Asperger e quella del 2 Aprile dedicata in generale ai disturbi dello spettro acquisiscono ulteriore importanza.
A questo proposito, un contributo significativo per il coinvolgimento dell’opinione pubblica può venire anche da cinema e televisione, a patto che film e serie dedicate evitino di cadere in semplificazioni, luoghi comuni e generalizzazioni di aspetti particolari o di nicchia. Il prossimo numero di Health Online si occuperà proprio di illustrare in che modo le pellicole e i programmi televisivi trattano l’argomento, mettendo in evidenza i pro e i contro di determinate scelte narrative.