La Voce di MBA

LA PESTE HA CAMBIATO LA STORIA DELL’UMANITA’?

Ancora adesso l’espressione Peste Nera evoca terrore e sentore di morte solo a pronunciarla.
Fino a oggi, la prima devastante epidemia documentata del terribile flagello risaliva al VI secolo: la famigerata “Peste di Giustiniano” che uccise il 30-50% della popolazione dell’epoca. Sebbene secondo gli storici alla peste si possa imputare, più indietro nel tempo, il declino della Grecia Classica e l’indebolimento dell’esercito romano, non c’erano prove concrete della responsabilità del batterio Y. pestis in queste epidemie poiché l’evidenza molecolare diretta della presenza del batterio non era stata riscontrata su nessun frammento di scheletro più antico di 1.500 anni fa.
Fino a oggi: in realtà un recentissimo studio pubblicato su Cell sembrerebbe proprio dimostrare come le infezioni di peste fossero ben presenti già almeno 3.300 anni prima di quanto suggerito dai documenti storici. Come spiega il team tutto europeo di ricercatori nel comunicato stampa, tramite il sequenziamento del DNA di campioni di denti di individui dell’Età del Bronzo in Europa e Asia è stata rinvenuta evidenza di infezioni di peste risalenti a circa 4.800 anni fa, mentre circa mille anni dopo il batterio che causa la malattia potrebbe aver acquisito le caratteristiche chiave che ne determinano l’aggressività e la possibilità di contagio tramite pulci, sfuggendo al sistema immunitario ospite.
Abbiamo scoperto che la famiglia alla quale risale il batterio Y. pestis è iniziata e si è diffusa molto prima di quanto si riteneva in precedenza e abbiamo ridotto la finestra temporale relativa al suo sviluppo”, si legge nel comunicato stampa. “Questo studio cambia completamente la nozione comune su quando, quanto e come la peste abbia influito sulla storia delle popolazioni umane e apre nuove vie allo studio dell’evoluzione delle malattie.
In particolare, lo studio potrebbe fornire un motivo valido per le evoluzioni geo-demografiche dell’Età del Bronzo, l’epoca forse più dinamica della preistoria, che ha visto migrazioni massicce e successioni di popolazioni in determinate aree, definendo la maggior parte della struttura demografica attuale in Europa e in Asia. È molto probabile che i sopravvissuti a una epidemia migrassero andando a insediarsi in zone a loro volta depopolate a causa di epidemie precedenti. In effetti, il DNA del batterio Y. pestis è stato rinvenuto in sette denti fra i 101 presi in esame, ottenuti in prestito da vari musei o provenienti da siti archeologici. I sette denti risalgono a epoche che vanno dal 3000 a.C. al 1000 a.C. circa (fino alla prima Età del Ferro). L’analisi evoluzionistica ha rivelato come tutti i ceppi noti del batterio Y. pestis risalgano a un antenato già presente quasi 6.000 anni fa, rivoluzionando le stime sinora considerate valide. Inoltre, il gene che consente il contagio del batterio agli esseri umani tramite insetti dovrebbe essere comparso dai 4.000 ai 3.000 anni fa ossia nelle fasi iniziali della sua evoluzione, il che apre nuove prospettive sul ciclo di vita dei patogeni.
Anche la mutazione che consente al batterio di sfuggire dal sistema immunitario ospite nei mammiferi potrebbe essere avvenuta più tardi di quanto precedentemente ritenuto.
“I meccanismi evolutivi che hanno agevolato la trasformazione del batterio Y. pestis sono presenti ancora oggi; comprenderne il funzionamento ci permetterà di capire come patogeni presenti e futuri possono e potranno nascere, evolvere e acquisire maggiore aggressività”, sottolineano i ricercatori. “Inoltre, lo studio modifica la conoscenza della storia di questo patogeno che ha avuto tanta importanza per l’umanità, rendendo molto probabile la sua responsabilità in altre pandemie antiche, come la Peste di Atene e la Peste di Antonino”.
Nel futuro, i ricercatori punteranno a studiare l’eventuale presenza e l’andamento della peste in altre aree geografiche e in altre epoche per comprendere meglio la storia della malattia, estendendo la ricerca ai resti di DNA di ulteriori virus e batteri ematici. Infatti, concludono, “lo studio dimostra che è possibile trovare patogeni antichi in resti di individui che non mostrano segni morfologici di infezione, quindi la peste è solo l’inizio: lo stesso tipo di analisi potrà essere esteso a tutte le tipologie di malattia”.
 
 

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