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L’autismo torna sul grande schermo con “Tutto il mio folle amore” di Gabriele Salvatores
Se ti abbraccio non aver paura. Ha il profumo di un abbraccio e la morbidezza di una relazione intima il titolo del libro di Fulvio Ervas che ha ispirato Gabriele Salvatores nella sua ultima fatica cinematografica “Tutto il mio folle amore” (https://www.youtube.com/watch?v=_DKtsKIevvo). L’autismo torna nelle sale cinematografiche con il nuovo film del regista Premio Oscar e con attori come Claudio Santamaria, Valeria Golino, Diego Abatantuono e per la prima volta sullo schermo il giovane Giulio Pranno.
Sono passati sedici anni dal giorno in cui Vincent è nato e non sono stati sedici anni facili per nessuno. Né per Vincent, immerso in un mondo tutto suo né per sua madre Elena e per il suo compagno Mario, che lo ha adottato. Willi, che voleva fare il cantante, senza orario e senza bandiera, è il padre naturale del ragazzo e una sera qualsiasi trova finalmente il coraggio di andare a conoscere quel figlio che non ha mai visto e scopre ciò che non avrebbe mai potuto pensare. Non sa, non può sapere, che quel piccolo gesto di responsabilità è solo l’inizio di una grande avventura, che porterà padre e figlio ad avvicinarsi, conoscersi, volersi bene durante un viaggio lungo le strade deserte dei Balcani in cui avranno modo di scoprirsi a vicenda, fuori dagli schemi, in maniera istintiva.
Il film, presentato fuori concorso alla 76esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, nel settembre scorso, è stato distribuito nelle sale cinematografiche italiane dal 24 ottobre e ha già ottenuto un discreto successo di pubblico. L’amore di due padri, il senso di colpa di una madre e un ragazzo che vive in un mondo tutto suo. La pellicola insegue la storia narrata dai protagonisti riuscendo a rispettare il difficile equilibrio tra i concetti di normalità e confine. Chi si può chiamare “normale” e chi no? Chi sta “di qua” e chi si trova “di là”? Chi sono i buoni e chi i cattivi? Un equilibrio che rischia di rompersi da un momento all’altro, come quello tra comicità e drammaticità, e che invece regge fino all’ultima scena.
Questo di Salvatores è solo l’ultimo film che racconta l’autismo al cinema. Dagli anni ‘70 ad oggi di pellicole sul tema se ne trovano: è questo il caso de Il ragazzo che sapeva volare (1986) a Fly Away (2011), che indaga il mondo dell’autismo in modo consono e senza quelle distorsioni che spesso indeboliscono tematiche complesse e delicate come questa. E ancora ci si imbatte in pellicole inaspettate come Piovono polpette (2009) dove il protagonista, lo strampalato scienziato Flint Lockwood è stato riconosciuto dalla critica come tale. Altre dove, come nel famoso La solitudine dei numeri primi (2010), l’autismo diventa un elemento pretestuoso e non davvero necessario alla narrazione. Poi arrivano El abuelo (2012), dove la sceneggiatura di Stephen Metcalfe – sceneggiatore di Pretty Woman e padre di un ragazzo autistico – fa la differenza per un film davvero da vedere, e le più recenti serie tv Atypical (2017) sul giovane autistico Sam e The Good Doctor (2017) dove il protagonista è il medico savant Shaun Murphy. E ancora il documentario italiano Be Kind (2018) dove il 12enne Nino, autistico, fa un viaggio attraverso l’Italia all’insegna della diversità.