Tolleranza zero. Non ci sono “se” e non esistono “ma” nell’approccio delle Nazioni Unite nei riguardi della triste e drammatica piaga delle mutilazioni dei genitali femminili nel mondo. A partire dal 2012, l’Assemblea generale dell’ONU ha designato il 6 febbraio come Giornata internazionale della tolleranza zero per le mutilazioni genitali femminili (Mgf) per potenziare le politiche globali contro questo fenomeno che ogni anno interessa almeno quattro milioni di giovani donne tra Africa, Medioriente, America Latina e Nuova Zelanda. Il contesto emergenziale dovuto alla pandemia non ha certo migliorato le cose, anzi. Nel corso dell’ultimo anno, il confinamento a casa e la sospensione delle lezioni scolastiche, come misura di contrasto alla diffusione del Covid-19, ha incrementato di 1,4 milioni il numero delle cosiddette “figlie del dolore” (under 16). A denunciarlo è stata l’Ong belga Gams, Gruppo per l’abolizione delle mutilazioni sessuali, sostenendo che la crisi mondiale ha abbattuto i progressi registrati negli ultimi anni, quando il numero di piccole vittime era progressivamente diminuito.
È stata la modella e scrittrice somala Waris Dirie a curare, a quattro mani con la giornalista Corinna Millborn, “Figlie del dolore”, un’inchiesta sulla mutilazione genitale femminile in diversi paesi europei, raccontando il suo viaggio nell’orrore con tutta la rabbia e la forza, la solidarietà e la lucidità della sua esperienza personale. In questa pubblicazione Dirie dà voce alle donne e rende conto anche del dibattito sulla legge per la prevenzione e il divieto dell’infibulazione, approvata in Italia nel dicembre 2005. Figlie del dolore si presenta come una dura denuncia di una tortura che affligge le vite di milioni di donne, ragazze e bambine. Ma è anche un grido di libertà, l’appello che una donna lancia alle altre donne affinché questa barbarie inaccettabile finisca al più presto.
Ed effettivamente è questa la promessa dell’Unicef. Nel corso degli ultimi 30 anni sono stati raggiunti importanti traguardi verso l’eliminazione di questa triste pratica universale, nel mondo oggi vivono circa 200 milioni di ragazze e donne che ne sono state vittime. Un atto brutale che comporta conseguenza fisiche, psicologiche e sociali indelebili. La buona notizia, almeno fino allo scorso anno, è che il sostegno a questa pratica è in calo. Le adolescenti tra i 15 e i 19 anni nei paesi in cui le mutilazioni sono più diffuse sono meno favorevoli nei confronti di questa pratica rispetto alle donne tra i 45 e i 49 anni. “Ora – si legge sul portale dell’Unicef – è tempo di investire, tradurre le promesse politiche già fatte in azioni concrete. Ora è tempo di fare di più, meglio e più velocemente per porre fine una volta e per tutte a questa pratica. Ora è tempo di mantenere la nostra promessa fatta a Tabitha e a tutte le altre ragazze, di azzerare le mutilazioni genitali femminili entro il 2030”.