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L’Italia sotto la morsa del morbillo. 401 i casi solo nel mese di giugno
Nel mese di giugno sono stati 401 i casi di morbillo registrati in Italia, con un aumento del 370% rispetto allo scorso anno.
Nel mese di giugno sono stati 401 i casi di morbillo registrati in Italia, con un aumento del 370% rispetto allo scorso anno quando furono individuate 85 infezioni. Salgono dunque a 3.500 i contagi segnalati dal gennaio 2017, nel 35% dei quali è stata osservata almeno una complicanza. Si tratta dei dati diffusi dal bollettino dell’Istituto superiore di sanità, in cui si evidenzia che l’89% dei contagiati non era vaccinato e il 6% vaccinato con una sola dose.
Il 41% di chi ha contratto il morbillo è stato ricoverato e il 22% ha fatto ricorso al pronto soccorso. Il 56% dei casi è stato registrato tra 15 e 39 anni, mentre il 6% (ben 210 casi) ha riguardato bimbi sotto l’anno di vita, i quali rappresentano la fascia più a rischio e quelli che ancora non possono essere vaccinati. Sono stati registrati, inoltre, 255 casi fra gli operatori sanitari, i quali rischiano più di chiunque altro di trasmettere la malattia a persone immunodepresse.
Per tale ragione, l’OMS, Organizzazione mondiale della salute, esorta tutti a sottoporsi al vaccino. Secondo i dati forniti dalle autorità nazionali di sanità pubblica – rileva l’Oms Europa – sono stati 31 i morti in Romania, uno in Germania e un altro in Portogallo, oltre ai 2 italiani. E “ogni morte o disabilità causata da questa malattia evitabile con il vaccino è una tragedia inaccettabile”, denuncia Zsuzsanna Jakab, direttore regionale dell’Oms per l’Europa. “Siamo molto preoccupati del fatto che, sebbene sia disponibile un vaccino sicuro, efficace e accessibile, il morbillo rimanga una causa principale di morte tra i bambini in tutto il mondo. E, purtroppo, l’Europa non è risparmiata. Lavorare a stretto contatto con le autorità sanitarie in tutti i Paesi europei colpiti è la nostra priorità per controllare i focolai e mantenere un’alta copertura vaccinale per tutti i settori della popolazione”. Lo scorso 21 giugno, esperti dell’Oms, dell’Istituto Superiore di Sanità e delle Regioni si sono incontrati a Roma. “Insieme hanno deciso di adottare strategie ulteriori per migliorare la copertura vaccinale fra gli adolescenti, gli adulti, i gruppi vulnerabili e i lavoratori sanitari. Il range delle attività identificate include il rafforzamento della sorveglianza sulla malattia e delle pratiche di comunicazione”.
Maggiore preoccupazione suscitano due paesi europei: la Romania e l’Italia. Da una parte, la prima ha condotto una campagna nazionale di vaccinazione potenziata, dall’altra, l’Italia ha implementato misure di controllo dell’epidemia, tra cui la notifica di casi sospetti, il monitoraggio dei contatti e l’offerta di profilassi post-esposizione e di vaccinazione. Tra le regioni che hanno subito adottato dei provvedimenti compare il Lazio che ha proposto “l’offerta attiva” del vaccino contro il morbillo agli operatori sanitari nell’ambito “dei programmi aziendali di tutela della salute”. Nella sostanza la Regione chiede – e non obbliga – ai lavoratori della sanità pubblica regionale, tra medici, infermieri e tecnici, di essere immunizzati contro il morbillo per bloccare, anche grazie a loro, la diffusione di questo virus che in corsia ha coinvolto, da inizio anno ad oggi poco più di 80 operatori sanitari. Chiaramente e drammaticamente troppi rispetto agli anni precedenti.
Naturalmente, come sottolinea anche Repubblica, non si tratta di un obbligo, perché tecnicamente non può esserlo, sicuramente però è più di un’esortazione quella che fa ora l’ente di via Cristoforo Colombo alle Asl, le aziende sanitarie locali, come datori di lavoro, e ai loro dipendenti soprattutto quelli impegnati in ospedali, pronto soccorsi e ambulatori. Un indicazione alle Aziende sanitarie locali affinché sensibilizzino il personale medico e infermieristico non coperto da anticorpi a immunizzarsi al più presto, e a offrirgli anche la soluzione su come e dove farlo. Soprattutto perché la maggior parte degli operatori sanitari ha un’età media oltre i 40 anni e quindi a rischio, se non già coperti da vaccino o se non immunizzati contro la malattia.