Celebrare la vita perché la vecchiaia fa un po’ troppa paura. Si apre con due anziani signori – interpretati da Dario Argento e Françoise Lebrun – che brindano sul terrazzino di casa, l’ultimo film di Gaspar Noè intitolato “Vortex” (vedi il trailer) e presentato al Festival di Cannes nella sezione Première. Un po’ biografica e un po’ narrativa, la pellicola ha commosso il grande pubblico francese affrontando il tabù più silenzioso, quello della fine della vita, la paura della possibilità di demenza seguita dalla morte. Ed è proprio l’incapacità di comunicare a causa della demenza senile che allontana sempre di più i due coniugi parigini che sembrano vivere in una grande bolla che li isola dal proprio coniuge e dal mondo esterno. Dopo la scena del brindisi lo schermo si divide e una netta linea nera divide i due anziani signori che vivono la propria quotidianità seguendo la routine, tra gesti consueti ripetuti automaticamente e dimenticanze che generano un profondo senso di smarrimento.
Lui è un critico cinematografico malato di cuore e impegnato nella redazione di un libro sulla relazione cinema/sogno, lei invece esce di casa, si smarrisce finché il marito la trova. Hanno un figlio, un regista disoccupato con problemi di droga e un figlio piccolo che alleva con il sostegno dei servizi sociali, che non può accudirli. Con loro è affettuoso ma non riesce a far fronte alla situazione, tanto complessa quanto pesante. Ed è per questa ragione che quando la donna distrugge, ripulendo la scrivania, tutto il lavoro sul libro del giornalista, propone loro la soluzione di un istituto per anziani. L’uomo però non ne vuole sapere: al solo pensiero di abbandonare la sua casa e di perdere l’amore della vita, sua moglie, si sente morire. Tuttavia la coppia non ha altre soluzioni.
Tutti coloro i cui cervelli si decomporranno prima dei loro cuori. È a loro che Noé dedica il suo film, fortemente ispirato agli ultimi anni di vita della sua mamma. Negli stessi giorni in cui “Vortex” si presenta alla critica di Cannes, una ricerca pubblicata su Nature Communications – alla quale hanno collaborato anche degli esperti di Milano – sul Dna di oltre 400.000 soggetti conferma il ruolo di diversi geni, già individuati come fattori di rischio per l’insorgenza del morbo di Alzheimer, e ha identificato nuovi geni candidati, alcuni dei quali dannosi e altri protettivi. Inoltre, grazie a questo studio – informa una nota stampa – sono state scoperte sei nuove varianti geniche alla base della malattia neurodegenerativa, la forma più comune di demenza senile, uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali che implica serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane.
Nello studio è stato evidenziato anche “un punteggio di rischio poligenico in grado di identificare i soggetti ad elevato rischio di sviluppare la patologia“. La ricerca, sostengono gli esperti, “rappresenta il più grande studio genetico ad oggi realizzato, grazie al contributo di tutti i più importanti gruppi di ricerca europei ed americani, riuniti e coordinati in un unico grande consorzio multinazionale”.