Per alcuni esperti, esiste una relazione tra protesi mammarie e una rara forma di linfoma. Per saperne di più, Mutua MBA ha intervistato il Prof. Claudio Doglioni, Head of Pathology Unit San Raffaele Scientific Institute Vita-Salute di Milano.
Si stima che su 10 milioni circa di protesi mammarie di marche differenti, impiantate nel mondo, sono stati descritti rarissimi casi di linfoma originatosi dalla capsula intorno alla protesi (sia in silicone che salina). E’ stato da poco diagnosticato il linfoma anaplastico a 29 donne con protesi al seno.
L’Agenzia Nazionale per la Sicurezza dei Medicinali e dei Prodotti Sanitari (ANSM, Francia) ha confermato che sono stati identificati tra le donne che portano delle protesi al seno innestate tra il 2011 e il giugno 2016. Un gruppo di esperti istituito dal National Cancer Institute (INCA) ha concluso che esiste un chiaro legame tra l’insorgenza del linfoma e l’uso di una protesi mammaria. Lo studio, inoltre, ritiene che la malattia assume un decorso lento e può essere controllata con la rimozione chirurgica della protesi e della capsula circostante. Le conclusioni sono basate su una revisione esaustiva della letteratura medica per quanto riguarda le protesi mammarie e il linfoma anaplastico a grandi cellule o ALCL, un tipo di cancro del sistema immunitario che è stato collegato alle protesi del seno più di un decennio fa, grazie al contributo di un gruppo multidisciplinare di esperti. Il team di scienziati ha identificato 36 casi pubblicati di linfoma non-Hodgkin tra le donne con protesi al seno, di cui 29 sono stati diagnosticati come linfoma anaplastico a grandi cellule. Almeno 12 delle 29 donne avevano una precedente storia di un diverso tipo di cancro, tra cui 8 avevano subito la mastectomia per tumore al seno e due che avevano una precedente storia di ALCL. Mentre alcuni pazienti hanno ricevuto chemioterapia e/o radioterapia, il trattamento in molti casi consisteva nel rimuovere chirurgicamente l’impianto interessato e il tessuto. Gli esperti raccomandano che la comparsa di un sacco pieno di liquido nei pressi di un seno impiantato sei o più mesi dopo l’intervento chirurgico dovrebbe portare a una valutazione diagnostica completa per il linfoma anaplastico. Inoltre, ANSM segnala che “nessun produttore ha dimostrato la biocompatibilità delle sue protesi al seno strutturato” e che la documentazione tecnica è “insufficiente”.
Mutua Mba, società di mutuo soccorso, leader in Italia per numero di associati, che fa della prevenzione uno dei pilastri sui quale svolge la propria attività mutualistica, ha intervistato il Prof. Claudio Doglioni, Head of Pathology Unit San Raffaele Scientific Institute Vita-Salute di Milano.
Cosa ne pensa dello studio?
“In realtà, più che di uno studio si tratta del parere di un gruppo di esperti chiamati dall’Istituto Nazionale Francese del cancro a valutare la possibile relazione fra protesi mammarie utilizzate, sia per scopi ricostruttivi sia per fini estetici, e l’insorgenza di una particolare e rara forma di linfoma. Questo gruppo di esperti conferma la presenza della relazione e da’ una serie di indicazioni sulla frequenza di questa malattia, sulle procedure diagnostiche, le modalità di stadiazione e di trattamento della stessa. La frequenza della malattia associata a protesi mammarie è molto bassa: il report degli esperti francesi indica 1 caso/anno su 100.000 donne portatrici di protesi, anche se altri dati di letteratura riportano frequenze ancora minori. Non sono state identificate ad oggi possibili relazioni fra tipologia o marca della protesi e sviluppo del linfoma”.
Può spiegare che cos’è il linfoma anaplastico?
“Il linfoma anaplastico a grandi cellule è una rara forma di neoplasia derivata da una particolare classe di linfociti, i linfociti T; si sviluppa più frequentemente nei linfonodi e ha specifiche caratteristiche morfologiche e molecolari. Nella forma tradizionale è un linfoma con un andamento clinico aggressivo e richiede trattamenti chemioterapici specifici. Il linfoma anaplastico associato alle protesi mammarie ha un andamento clinico diverso e spesso meno aggressivo; se è confinato entro la capsula protesica può essere trattato con la sola asportazione della protesi e della capsula fibrosa circostante”.
La comparsa di un sacco pieno di liquido nei pressi di un seno impiantato sei o più mesi dopo l’intervento chirurgico dovrebbe portare a una valutazione diagnostica completa per il linfoma anaplastico a grandi cellule. E’ così?
“I tempi di insorgenza del linfoma anaplastico dall’impianto protesico sono in genere molto lunghi: l’intervallo di tempo medio è di circa 8 anni; l’intervallo più breve riportato nella letteratura scientifica è di 2 anni. I sintomi associati al linfoma anaplastico non sono specifici: più frequente è la comparsa di un versamento attorno all’impianto protesico, il cosiddetto sieroma. È da tener presente che la maggior parte dei versamenti di questo tipo hanno altre cause, molto più banali. L’ecografia della lesione e la valutazione citologica del liquido aspirato sono le procedure diagnostiche iniziali da effettuare”.
Quali sono i suoi consigli per le donne che hanno protesi mammarie?
“Effettuare i normali controlli senologici e, per le pazienti con protesi a scopo ricostruttivo, seguire le indicazioni dell’oncologo/a. La possibile insorgenza di questo tipo di linfoma è un evento molto raro e al momento attuale non vi è nessuna indicazione alla rimozione di una protesi mammaria a scopo preventivo”.