Il 30 aprile si è celebrata in tutto il mondo, con più di 500 manifestazioni, la Giornata Internazionale “No Hitting Day” dedicata ai più piccoli.
Sono passati pochi giorni, ma l’attenzione resta alta nei confronti dell’educazione non violenta sui bambini. Il 30 aprile si è celebrata in tutto il mondo, con più di 500 manifestazioni, la Giornata Internazionale “No Hitting Day” dedicata ai piccoli.
Nel 2001 è stata promossa, con il sostegno delle Nazioni Unite, l’iniziativa mondiale“End all Corporal Punishment on Children”. All’origine del movimento contro le punizioni corporali verso i bambini vi è l’Associazione statunitense EPOCH (End Physical Punishment for Children), il cui scopo è proprio attirare l’attenzione del grande pubblico sulle punizioni violente nei confronti dei bambini. In Europa, è stata la Svezia, nel 1979, la prima a vietare, con un’apposita legge, le punizioni corporali. Da allora, 51 altri Paesi (purtroppo non l’Italia) hanno modificato le loro leggi in questa direzione.
Nel 2003 la Giornata della Non Violenza Educativa è stata introdotta in Francia da Catherine Dumonteil Kremer, ideatrice dei laboratori per genitori “Vivere e Crescere Insieme”. In Italia dal 2013 è Myriam Nordemann che promuove in esclusiva per il nostro Paese, a Milano un’iniziativa di sensibilizzazione intorno a questa giornata, traducendo e diffondendo il materiale elaborato da Catherine per l’occasione.
Secondo alcuni dati provvisori ( gli esiti saranno resi noti in autunno) dell’Università di Friburgo che conduce, su mandato della Protezione dell’infanzia Svizzera, uno studio rappresentativo sulle abitudini dei genitori in Svizzera, si evince che per il 20% dei genitori interpellati, uno schiaffo non è un atto di violenza, per il 30% circa una sonora sculacciata non rientra nel concetto di violenza e per il 12% nemmeno le botte. Non rivolgere la parola per diversi giorni quale punizione psichica non costituisce poi violenza per la metà degli interpellati. Tutto questo significa che la violenza fisica e psichica non è necessariamente percepita come tale da molti genitori. In Italia, nessuna delle nostre leggi vieta esplicitamente l’uso della violenza nell’educazione, diversamente da quanto avviene in altri 26 Stati europei. Eppure, le conseguenze negative della violenza fisica sullo sviluppo infantile sono numerose. Al contrario delle ferite visibili, molte di queste conseguenze non sono tuttavia riconoscibili al primo sguardo. A febbraio 2015, il Comitato dell’ONU per i diritti dei bambini affermava ancora una volta che l’Italia adempie solo parzialmente ai suoi doveri di protezione nel quadro della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo.