La Voce di MBA

Olocausto, l’opera dell’infermiera Teodora Focaroli che rischiò la vita nascondendo gli ebrei romani

Con l’istituzione della Commissione Segre in Parlamento, voluta fortemente dalla senatrice a vita Liliana Segre sopravvissuta all’Olocausto, si è tornati a parlare in Italia di antisemitismo e di un progetto di ricerca di una società aperta e tollerante. Tolleranti gli italiani lo sono sempre stati, anche e soprattutto negli anni delle Leggi razziali e nel lungo inverno 1943-1944 in cui le deportazioni delle famiglie ebree interessarono il nostro Paese, come l’Europa intera. La macchina dell’accoglienza si mise in moto nel mondo cattolico grazie al sostegno delle strutture di cura e per convalescenti. È questo il caso del Fatebenefratelli di Roma che offrì riparo a numerose famiglie che altrimenti sarebbero finite nelle liste dei tedeschi.

 Era il 16 ottobre del 1943, giorno della razzia al ghetto ebraico di Roma, e Teodora Focaroli, infermiera, non ebbe il ben che minimo dubbio: gli ebrei dovevano essere salvati. La donna aveva preso servizio nel 1934 presso le Istituzioni ebraiche poste sull’Isola Tiberina, dove si trovavano l’Ospedale Israelitico e la Casa di riposo per ebrei anziani. Lì incontrò Mosè Di Veroli, un commerciante di metalli, che presto divenne suo marito. Quando il 16 ottobre si accorse della razzìa in corso al Portico d’Ottavia, tolse prima di tutto il cartello che, sull’isola Tiberina, segnalava la presenza della sede dei presìdi ebraici. Avviò subito i malati in grado di camminare al Fatebenefratelli (l’ospedale cattolico). I più gravi, invece (cinque o sei), li condusse con un’ambulanza all’Ospedale Littorio (attuale San Camillo).

 Gli anziani della Casa di Riposo riuscì a sistemarli nella torre inserita nell’edificio che accoglieva ospedale e casa di riposo. Nei giorni successivi Dora Focaroli – risultando dai documenti cattolica – poté mantenere collegamenti con gli ebrei nascosti al Fatebenefratelli, facendo la spola con la Comunità dei Frati Minori. Dora garantì agli anziani che vivevano nella torre non solo cibo e cure ma anche una quotidiana assistenza religiosa serale, grazie a Rav Izhak Davide Panzieri che morì poco dopo la fine della guerra.

 La rete di solidarietà verso i perseguitati non poteva però passare inosservata agli occhi dei poliziotti che proprio all’Isola Tiberina avevano una postazione strategica sotto la guida del maresciallo Gennaro Lucignano (1903-1964), il quale sapeva benissimo che erano nascosti diversi ebrei ricercati, così come sapeva bene il lavoro di collegamento di Dora. Chiuse gli occhi e non fece mai rapporto, salvando anch’egli vite umane.

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