Questo sito Web utilizza i cookie per offrirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito web e aiutando il nostro team a capire quali sezioni del sito web trovi più interessanti e utili.
Oppiacei nell’Età del Bronzo, prime conferme
Da sempre il mondo dell’archeologia si interroga sul significato della forma di alcuni vasi rinvenuti in abbondanza in Anatolia, tipici dell’Età del Bronzo.
Questi vasi, denominati Base-Ring (con piede ad anello), sono caratterizzati da una linea che ricorda molto da vicino la capsula rovesciata del papavero da oppio, portando alle più svariate ipotesi e teorie da parte degli studiosi.
Secondo alcuni si trattava di vasi funerari, destinati a contenere olii preziosi, a scopo di profumazione oppure votivo; secondo altri la forma era una coincidenza e nulla aveva a che vedere con la natura del contenuto; secondo altri ancora erano vere e proprie pipe per fumare la polvere di oppio fatta opportunamente bruciare (per uso ludico, narcotico o antidolorifico), oppure fiaschette per oppiacei disciolti in forma di sciroppo da bere misto con miele – forse il misterioso gayatum, il pregiato prodotto inebriante che il re ittita Tudhaliash pretese dai vinti quando conquistò la città cipriota di Alashiya nel 1250 AC in base a una delle pochissime testimonianze giunte fino a noi. L’analisi di qualunque residuo contenuto all’interno dei piccoli vasi risultava sempre inconcludente o comunque non sufficiente a corroborare in modo definitivo questa o quella tesi, e le graziose anforette del Mediterraneo orientale presenti in quasi tutti i musei del mondo continuavano a rappresentare un enigma.
Pochissimi giorni fa l’Università di York ha pubblicato i risultati delle analisi svolte in collaborazione con il personale del British Museum su una di queste graziose anforette in particolare, rimasta perfettamente sigillata sin dal ritrovamento.
(Fonte: University of York)
Impiegando i sofisticati strumenti di spettrografia di massa e di indagine chimica disponibili presso l’università, gli studiosi hanno in effetti individuato alcaloidi dell’oppio tipici degli oli vegetali che tendono a mantenersi più intatti rispetto alla morfina, alla papaverina e alle altre sostanze precedentemente prese in considerazione.
A questo punto, sicuramente il legame ipotizzato con la forma della capsula rovesciata del papavero da oppio è confermato una volta per tutte, dopo anni di dibattiti e discussioni accese nella comunità scientifica. Inoltre, per la natura degli alcaloidi, è corroborata anche una delle teorie sull’utilizzo, ossia che si trattasse di contenitori di olii profumati. È pur vero che al momento è stato analizzato il contenuto di un solo vaso e non è detto che l’utilizzo fosse lo stesso per tutti. Il vaso poi potrebbe essere stato riutilizzato nel tempo per contenere sostanze diverse in epoche successive quindi rimane comunque l’interrogativo sulla presenza di altre sostanze più degradabili, che richiedono strumenti ancora più sofisticati per essere rinvenute e analizzate. Di certo questo primo risultato costituisce un incoraggiamento a proseguire le indagini che potrebbero gettare nuova luce sulle pratiche commerciali, rituali e mediche dell’Età del Bronzo.