Quante volte succede che al mattino al suono della sveglia sbalziamo dal letto e la prima frase che diciamo è: “ Oh no! Sono in ritardo”. Da quel preciso momento si aprono le danze: corse da una parte all’altra della casa, inevitabile la crisi con l’armadio, si inciampa ovunque e su qualsiasi cosa, lasciamo cassetti aperti, il tutto con lo sguardo fisso all’orologio e la mano sul telefonino con il quale inviamo sms al datore di lavoro o con chi abbiamo fissato un appuntamento scrivendo che siamo bloccati nel traffico e che stiamo arrivando. Dall’America, è arrivata un’inchiesta eseguita dal Wall Street Journal, sulla base di una ricerca realizzata da esperti psicologi denominata “ la Scienza del ritardo”. Tutti gli autori dell’indagine concordano sul fatto che il ritardatario è un soggetto malato!
Per lo staff dello psicologo Jeff Conte della San Diego State University, il minuto del ritardatario dura 77 secondi contro i 58 della persona puntuale. Una differenza del 30%. Il dottor Conte suddivide la specie umana in due categorie: quelli che appartengono al gruppo A, puntuali, precisi che spaccano il secondo e che nella vita sono anche più competitivi e intraprendenti e quelli del gruppo B, i “poveri” ritardatari che sono sempre in affanno.
Se per noi è “solo” malcostume, spesso associato a mancanza di rispetto nei confronti degli altri, per gli americani è una vera e propria patologia cronica da curare. In America il tempo è denaro. Se si arriva in ritardo, anche solo di pochissimo a un appuntamento di lavoro, la perdita di questo è assicurata. Per loro, che non tollerano neanche un minuto di ritardo, la puntualità non conosce scuse perché ne beneficia la produttività e il business.
Un altro studio, sempre della stessa inchiesta, ha evidenziato che spesso i ritardatari cronici sono anche soggetti “multi-tasking”, ovvero compiono più azioni nello stesso momento con la conseguente perdita di concentrazione e maggiore esposizione allo stress.
Per Roger Buehler della Laurier University nell’Ontario del Canada, il ritardatario non ha ben chiara la concezione di tempo necessaria per sbrigare una determinata cosa sottovalutandone il 40%. Quindi arriva in ritardo perché non riesce a quantificare il tempo che deve impiegare per arrivare.
Justin Kruger, del dipartimento di marketing del Stern School of Business, Università di N Y , invece, si è concentrato nel trovare la soluzione affinché si possa guarire da questa “malattia”. Per Kruger è necessario dividere in tanti parti ciascuna azione. Se si ha un appuntamento di lavoro si deve immaginare in anticipo quanto tempo necessita la fase di preparazione, che parte dalla sveglia, dal fare la doccia, vestirsi, truccarsi, pettinarsi, prendere la macchina e raggiungere il luogo. In questo modo si ha una percezione più reale. Quindi anticipare le azioni e al mattino impostare la sveglia prima con suoni cadenzati per un determinato arco di tempo che può essere di 5,10 o 15 minuti. Ma tutti impostati prima dell’ora reale“X”.
E gli specialisti di casa nostra cosa ne pensano? È davvero una malattia essere un ritardatario cronico? È un aspetto caratteriale o di tipo culturale?
Abbiamo sentito la dottoressa Chiara Simonelli, psicoterapeuta della Facoltà di Medicina e Psicologia all’ Università la Sapienza di Roma.
“Ogni comportamento un po’ fuori norma – ha detto la Simonelli -va contestualizzato nell’ambiente culturale in cui un soggetto nasce, cresce e vive. Noi registriamo abitudini a seconda di dove viviamo. Ad esempio, abito a Roma e se do un appuntamento alle 9 sono consapevole che posso arrivare anche alle 9.15, tanto è lo stesso. Nessuno colpevolizza il ritardo e tantomeno si avverte perché in quel determinato contesto sociale esiste il “quarto d’ora accademico”, diciamo a volte anche la mezz’ora. Se invece mi trovo in Svezia la situazione cambia. L’orario dell’appuntamento fissato deve necessariamente essere rispettato. Io, che da anni per questioni di lavoro viaggio molto, adatto il mio “orologio” e il rapporto con questo strumento a seconda di dove mi trovo. In generale, bisognerebbe solo imparare ad adattarci ai contesti nei quali viviamo e lavoriamo per vivere serenamente.”
Alla domanda: essere ritardatari è davvero una malattia? la dottoressa Simonelli ha risposto “Non c’è nessuna cura per i soggetti ritardatari, non c’è bisogno di psicanalizzarli, basta solo inquadrarli. Attenzione, al ritardatario non piace aspettare perché secondo lui l’attesa è una perdita di tempo”.
E noi di MBA, ricordiamo a tutti i ritardatari che essere in perenne conflitto con l’orologio non è colpa vostra, ma è una patologia dalla quale c’è poca via di scampo visto che non esiste una cura per una pronta guarigione.
E voi cosa ne pensate? Avete un rapporto conflittuale con l’orologio? Vi sentite dei malati cronici? Esiste o no una cura? Quanto è stressante vivere da ritardatari? Com’è invece la vita di chi sta al fianco di un ritardatario? Contattateci…