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Primo maggio in emergenza tra dignità, lavoro (e vaccini)
Parlare oggi di sicurezza sul luogo di lavoro significa ottenere una sola risposta: vaccinare. Chiusura delle attività non essenziali, sospensione della didattica in presenza, ripresa difficoltosa dell’attività delle aziende post lockdown. È un po’ questa la parola chiave del 1° maggio 2021, una festa dei lavoratori segnata per il secondo anno di fila dall’emergenza sanitaria da COVID-19 e da un contesto di crisi che ha portato molte attività alla chiusura, a causa delle continue e ininterrotte sospensioni, e a una lotta continua con il fisco. Dal mondo delle arti, rimasto in uno stato vegetativo per un anno e mezzo, al fronte sanitario, ancora in trincea, la pandemia ha cambiato la percezione del lavoro.
Da parte loro i sindacati hanno richiamato ancora una volta la pubblica piazza a fare memoria di tutte le vittime succedutesi sui luoghi di lavoro per amianto, Covid, infortuni e altre malattie. Tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori significa essere in difesa del lavoro e rispettare la dignità delle persone in quanto il lavoro non è una qualsiasi merce. La salute e la sicurezza dei lavoratori rappresentano una assoluta priorità per garantire la ripresa dei singoli territori e del Paese, essenziali pertanto rimangono le necessarie prescrizioni di prevenzione che vanno sempre stabilite e rispettate a tutela della salute e della sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, soprattutto in un periodo di emergenza come questo.
Il 2020, stando ai dati contenuti nel report dell’INAIL, è stato un anno straordinario per il mondo del lavoro chiaramente condizionato dall’andamento della pandemia. Non è un caso infatti che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha dedicato la Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro del 2020 alla prevenzione dei rischi da infezioni nel luogo di lavoro e, in particolare, a quella del Covid-19. È stato un modo per ricordare quanto sia importante adottare una serie di protocolli (misurazione della temperatura, igiene delle mani, distanziamento tra le persone, utilizzo della mascherina) per lavorare quanto più in sicurezza possibile. Nell’anno orribile, le denunce di infortunio sono complessivamente calate, arrivando a una riduzione del 13,6% (87 mila casi in meno, per un totale di 554.340) rispetto al 2019. Questo nonostante i contagi da Covid-19 nel luogo di lavoro. In particolare, un calo deciso rispetto al 2019 si è visto nei mesi da gennaio a settembre 2020: -21,6%; gli ultimi tre mesi del 2020, invece, hanno subito un aumento del 9,1% rispetto all’ultimo trimestre dell’anno precedente. La diminuzione degli infortuni si è registrata in tutto il Paese, da Nord a Sud e riguarda non solo il luogo di lavoro ma anche il tragitto casa-lavoro, con una deflessione del -38,3% (cioè si è passati dai 100.905 infortuni del 2019 ai 62.217 del 2020). Il confronto tra il genere maschile e quello femminile mostra un calo del 22,1% per il primo (da 411.773 del 2019 si è passati a 320.609 nel 2020), mentre il secondo registra il lieve aumento del +1,7% (da 229.865 del 2019 a 233.731 del 2020).
Si sono registrate inoltre 1270 denunce di infortunio con esito mortale sul luogo di lavoro, che rappresentano un aumento del +16,6% (181 casi in più) rispetto a quelle registrate nel 2019 (che erano 1.089). Questo incremento è da ascriversi alla pandemia, responsabile di circa un terzo dei decessi sul lavoro registrati nel 2020. Il genere maggiormente coinvolto rimane quello maschile, che ha registrato un aumento dei casi rispetto al 2019 di decesso da 995 a 1.132, mentre quello femminile ha registrato un aumento da 94 a 138. La fascia di età più colpita rimane quella degli over 50. Inoltre, nel corso dell’anno si è registrato un fermo calo delle malattie professionali: se ne contano 16.287 in meno rispetto al 2019 (pari al -26,6%), con 45.023 denunce totali.