Con l’aumentare delle calde temperature estive e a seguito del cambio di stagione (negli ultimi tempi sempre più improvviso) molti riscontrano un abbassamento della propria produttività fisica e mentale, tanto a lavoro quanto tra i banchi di scuola. Nella maggior parte dei casi lo spossamento si addebita al caldo e a precisarlo arriva uno studio pubblicato su Plos Medicine da ricercatori dell’Harvard School of Public Healh. “Quando si studiano gli effetti del caldo, si considerano le categorie più deboli come bambini, anziani e ammalati. Il nostro, invece, è il primo studio realizzato su ventenni in salute. Inoltre in genere si studiano gli effetti del caldo all’aperto. Ma il 90% degli adulti americani passa il tempo al chiuso e bisognava capire cosa succede a casa e in ufficio”. A spiegarlo è Jose Guillermo Cedeño-Laurent, tra i coordinatori dello studio. “Così – precisa – abbiamo misurato giornalmente, tramite smartphone, le condizioni di 44 studenti durante un periodo di 12 giorni attraversato da 5 giorni di ondata di calore”.
Sulla base di questo campione la ricerca ha ottenuto i risultati auspicati. Più di 20 dei 44 studenti totali vive in un dormitorio universitario i cui spazi sono dotati di un sistema di aria condizionata. Tutte le stanze e i vani in comune in cui l’areazione automatica non è presente hanno a disposizione normali ventilatori. I ricercatori hanno così misurato le capacità cognitive di tutti gli studenti ogni giorno, al loro risveglio, tramite esercizi da fare sullo smartphone. Il primo esercizio è il cosiddetto ‘Stroop test’: sullo schermo vengono visualizzati i nomi di alcuni colori, ma con un trucco per impegnare di più il cervello. “Mostriamo la parola verde ma con i caratteri in rosso. E lo studente – a cui è richiesto di dire quale colore sta vedendo – non deve farsi fuorviare da queste ambiguità. In particolare deve inibire la risposta sbagliata, cosa che richiede sforzo cognitivo e autocontrollo”. Risultato: gli studenti senza aria condizionata hanno avuto un tempo di reazione medio del 13,4% più alto rispetto agli altri”, spiegano gli autori dello studio.
A questo si aggiunge un secondo efficace esperimento attraverso il quale sono state valutate le capacità aritmetiche degli studenti sottoposti al test. Anche in questo caso la performance degli studenti più esposti al caldo si è rivelata meno brillante guadagnano un punteggio medio inferiore del 13,3%. Il fattore principale, secondo lo studio, è la temperatura. Da questo discendono altri fattori che possono aver avuto un impatto sulla performance cognitiva, come la deidratazione o un sonno meno ristoratore.
“Abbiamo notato che la temperatura ideale per i tempi di reazione e le capacità cognitive è intorno ai 22 gradi centigradi. E che non sembra esserci, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, un piccolo effetto di adattamento al calore col passare dei giorni”. I risultati della ricerca si pongono su una linea di continuità con quanto appurato da un precedente studio pubblicato nello scorso maggio da Joshua Goodman e Michael Hurwitz del National Bureau of Economic Research americano, “Heat and learning”. Esaminando 10 milioni di test Psat, i test annuali degli studenti delle high school americane, si è visto che i risultati negli anni di maggior caldo erano inferiori, mediamente, a quelli degli anni più freschi. Con le annate più calde particolarmente penalizzanti, in termini di risultati scolastici, per gli studenti più poveri. Con tutti i caveat necessari quando si tirano conclusioni di questo tipo – dove i fattori in gioco possono essere molti e non tutti noti – i ricercatori hanno trovato una relazione: per ogni grado di temperatura in più, si perderebbe l’1% di quanto di appreso. Sudare sui libri, insomma, non è garanzia di bei voti: dipende dal perché si suda.