Creare un ponte tra ricerca e memoria nel segno del rispetto. Il dizionario della medicina deve molto alla lingua tedesca ma allo stesso tempo richiama nomi di medici nazisti, camici bianchi dei lager, che hanno sperimentato, in molti casi, nell’ambito della soluzione finale e dunque entro il severo perimetro dei campi di concentramento europei. Occorrerebbe dunque mettere mano alla nomenclatura medica modificando tutti i rimandi a questa drammatica pagina della storia novecentesca che vede nel 27 gennaio il giorno del ricordo in cui si commemorano tutte le vittime della Shoah.
In pochi sanno che il noto atlante di anatomia umana Pernkopf è stato realizzato da Eduard Pernkopf, rettore dell’Università di Vienna dopo l’annessione al Terzo Reich. Per la redazione della sua opera magistrale – ben sette volumi – il professore di anatomia austriaco si sarebbe basato sui cadaveri degli uomini e delle donne internati nei campi di concentramento tra la Germania e la Polonia. Stessa musica per la granulomatosi di Friedrich Wegener che prende il nome del patologo tedesco che aderì al partito nazista nel 1932 e che – elemento non trascurabile – ebbe un ruolo centrale nella selezione e relativa deportazione degli ebrei dal ghetto alle camere a gas. E potremmo andare avanti citando diverse altre patologie come ad esempio l’artrite di Reiter, stretto collaboratore di Hitler, o il test di Clauberg, per misurare l’azione del progesterone. In quest’ultimo caso, si tratta di una pratica utilizzata dai pazienti che si sottopongono alla fecondazione artificiale e messa a punto dal ginecologo sulle prigioniere di Koninsberg.
Come affermato dal medico gastroenterologo all’Ospedale Israelitico di Roma dottore Cesare Efrati, sono state diverse le occasioni in cui la comunità ebraica ha richiesto di cancellare questi nomi che tutt’oggi sono presi in esami nello studio della pratica clinica. Una sollecitazione a cui però non ha fatto seguito alcun effetto concreto. Di contro, si potrebbe dare spazio a tutti quei medici e professionisti della scienza che agirono da “giusti” salvando vite e morti nei campi di concentramento e che certamente non hanno commesso barbarie di questa natura. “Io stesso – ha dichiarato anni fa, in occasione di un convegno organizzato presso il Rettorato di Roma, Riccardo Di Segni, medico e rabbino capo della comunità ebraica di Roma – ho studiato per decenni alcune malattie senza sapere che portavano il nome di criminali nazisti”.
Ciò che fa più male non è tanto che una patologia oppure una pratica medica, introdotte nel segno della più grande innovazione scientifica che ha rivoluzionato lo scorso secolo, portino il nome dei “medici del Fuhrer”, ma il fatto che questa rivoluzione sia avvenuta ai danni di bambini, adolescenti, uomini e donne prelevati dalle loro abitazioni e deportati nei cambi di sterminio europei perché ebrei, zingari, omosessuali, e quant’altro.