Come sta la sanità italiana? Ce lo dice il rapporto Osservasalute 2016.
Uno degli elementi che balza subito alla vista di chi si imbatte del nuovo Rapporto Osservasalute 2016 pubblicato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute delle Regioni, che ha sede all’Università Cattolica di Roma, è che il sistema sanitario nazionale del Nord non è lo stesso del Sud. Un dato piuttosto drammatico che mette in luce il profondo divario tra il Settentrione italiano e il Mezzogiorno che gode di minori garanzie, tutele, prestazioni. Basti pensare, ad esempio, che gli screening oncologici coprono la quasi totalità della popolazione in Lombardia, ma appena il 30 per cento dei residenti in Calabria: questo dato lascia intendere facilmente la ragione per cui alcune strutture oncologiche del Centro Italia, una fra tutte il Regina Elena di Roma, sono quotidianamente sovrappopolate da pazienti. Tuttavia, la grande distanza tra le due parti d’Italia, che riporta le menti alla storica “questione meridionale” di giolittiana memoria, non è solamente dovuta alla carenza di risorse economiche perché alcune Regioni del Nord “migliorano le loro performance senza aumentare la spesa” mentre alcune Regioni del Mezzogiorno, Lazio compreso, “peggiorano la performance pur aumentando le risorse disponibili rispetto al dato nazionale”.
La salute degli italiani pertanto anche oggi, nel 2016, è classificata come di serie A e di serie B, nella sostanza tutto dipende dalla regione in cui si vive. Sfortunati – si passi il termine, ndr – coloro che ad esempio vivono in Campania, regione classificata in termini di sanità all’ultimo posto, i quali non solo devono fare i conti con la mala sanità (diversi sono stati gli episodi balzati alle cronache nelle ultime settimane), ma devono migrare verso il Nord per ricevere delle giuste e rapide cure. Questo significa che a distanza di qualche centinaia di chilometri cambia l’aspettativa di vita della popolazione: in soldoni, i trentini vivono dai tre ai quattro anni in più rispetto ai cittadini della Campania. Questo rivela che campani, siciliani, calabresi, in genere i meridionali che 15 anni fa avevano almeno un anno di aspettativa di vita in più dei settentrionali hanno perso tutti i guadagni di vita maturati nel secondo dopo guerra, soltanto negli ultimi 15 anni quando la Sanità è stata devoluta alle regioni.
Un altro dato messo in luce all’interno del Rapporto riguarda l’aumento di malati cronici. Sono loro, documenta lo studio, il maggior carico per la Sanità pubblica, tra i settori più esposti alla crisi economica negli ultimi 15 anni. Si tratta di quasi il 40 per cento della popolazione italiana, circa 23 milioni di italiani e di questi il 20 per cento ha due malattie croniche e questi assorbono da soli il 55 per cento delle risorse del servizio sanitario nazionale. “Siamo veramente di fronte a una sfida epocale: se non ci riorganizziamo significa che alcuni di questi ai servizi non accederanno più”, denuncia ai microfoni della Radio Vaticana Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, che ha redatto il Rapporto. Ricciardi, inoltre, spiega che da una parte non si investe abbastanza in prevenzione, nel senso che i pazienti arrivano alla cronicità perché pesano troppo, perché non fanno attività fisica, perché bevono troppo e perché fumano. “Questi sono quattro fattori di rischio tutti modificabili. E’ chiaro – sottolinea – che bisogna cercare di organizzarsi, perché abbandonati a se stessi i cittadini italiani, soltanto in misura molto limitata, accolgono i suggerimenti che li indirizzano verso comportamenti più saggi. E poi, certamente, quando si ammalano bisogna intervenire, però bisogna intervenire in maniera appropriata, con l’uso dei farmaci giusti, con l’uso degli interventi giusti, senza sprecare risorse”.
Inoltre, dal Rapporto Osservasalute, emerge che negli ultimi mesi in Italia si registrano più decessi. Il 2015, si legge, è stato un anno particolare per la mortalità in Italia in quanto si è assistito a un aumento del numero di morti in valore assoluto rispetto agli anni precedenti. A fronte delle circa 600 mila morti medie nel 2013 e nel 2014, nel 2015 si sono verificate 49.000 morti in più. Tutto ciò ha dei riflessi sulla speranza di vita della popolazione. Al 2015, la speranza di vita alla nascita è più bassa di 0,2 anni negli uomini e di 0,4 anni nelle donne rispetto al 2014, attestandosi, rispettivamente, a 80,1 anni e a 84,6 anni. Considerando la mortalità sotto i 70 anni, vista dall’Oms come un indicatore della efficacia dei sistemi sanitari, si osserva che dal 1995 al 2013, rispetto alla media nazionale, nel Nord la mortalità sotto i 70 anni è in diminuzione in quasi tutte le regioni mentre nelle regioni del Mezzogiorno il trend è in sensibile aumento.
La mortalità è inferiore al valore nazionale in 8 regioni: Lombardia, PA Bolzano, PA Trento, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche. Valori superiori al dato nazionale si registrano, d’altro canto, in 5 regioni: Piemonte, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia.