Il Rapporto Mondiale Alzheimer 2015 rileva che ci sono nel mondo 46,8 milioni di persone affette da una forma di demenza (nel 2010 se ne stimavano 35 milioni), cifra destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni.
L’Alzheimer sta diventando una emergenza mondiale e secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità si prevede un raddoppio delle persone affette da qui ai prossimi 20 anni.
Lo scorso 29 maggio, nel corso della LXX Assemblea Mondiale sulla Sanità, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha adottato il Piano Globale di Azione sulla Risposta di Salute Pubblica alla Demenza 2017-2025.
Oggi si celebra la XXIV Giornata Mondiale dell’Alzheimer, che rappresenta il culmine del Mese Mondiale Alzheimer, ideato da ADI – Alzheimer’s Disease International (la Federazione Internazionale delle 84 associazioni Alzheimer nazionali che supportano le persone con demenza e i loro familiari nei rispettivi Paesi, di cui la Federazione Alzheimer è rappresentante unico per l’Italia), con l’obiettivo di sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica su quella che sta diventando sempre più una priorità mondiale di salute pubblica.
Il 19 settembre, la Federazione Alzheimer Italia, ha organizzato anche il convegno dal titolo “Dall’assistenza all’inclusione: come superare lo stigma della demenza”, con sottotitolo “Nell’ambito della campagna ‘Ricordati di me’, la Federazione Alzheimer Italia dà voce a ricerca, famiglie e comunità amiche”.
“Mettere in primo piano la persona con demenza e le sue esigenze, la sua qualità di vita insieme alla sua famiglia: anche per questa XXIV Giornata Mondiale Alzheimer vogliamo seguire questa che è da sempre la nostra mission”. Le parole Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia.
Nel corso dell’incontro è stato fatto il punto su quanto è stato svolto a livello locale e mondiale sulla demenza ed sono stati forniti a familiari e operatori del settore gli strumenti utili per affrontare le difficoltà che si incontrano nell’assistenza quotidiana alla persona con demenza.
Demenza è un termine usato per descrivere diverse malattie cerebrali che comportano l’alterazione progressiva di alcune funzioni (memoria, pensiero, ragionamento, linguaggio, orientamento, personalità e comportamento) di severità tale da interferire con gli atti quotidiani della vita. La demenza non ha confini sociali, economici, etnici o geografici.
Il Rapporto Mondiale Alzheimer 2015 rileva che ci sono nel mondo 46,8 milioni di persone affette da una forma di demenza (nel 2010 se ne stimavano 35 milioni), cifra destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni. I nuovi casi di demenza sono ogni anno oltre 9,9 milioni, vale a dire un nuovo caso ogni 3,2 secondi.
Gli attuali costi economici e sociali della demenza ammontano a 818 miliardi di dollari e ci si aspetta che raggiungano 1000 miliardi di dollari in soli tre anni. I costi globali della demenza sono cresciuti del 35% rispetto ai 604 miliardi di dollari calcolati nel Rapporto Mondiale 2010. Questo significa che, se l’assistenza per la demenza fosse una nazione, sarebbe la diciottesima economia nel mondo e il suo valore economico supererebbe quello di aziende come Apple (742 miliardi) e Google (368 miliardi).
In Italia si stima che la demenza colpisca 1.241.000 persone (che diventeranno 1.609.000 nel 2030 e 2.272.000 nel 2050). I nuovi casi nel 2015 sono 269.000 e i costi ammontano a 37.6 miliardi di euro.
L’Alzheimer è malattia degenerativa che colpisce le cellule cerebrali, caratterizzata da un progressivo deterioramento delle funzioni cognitive, dovuta in parte dalla deposizione extracellulare della proteina β-amiloide che ostacola la funzionalità delle cellule nervose.
Tale riduzione funzionale è inizialmente circoscritta a specifiche aree cerebrali e si propaga successivamente in base alle connessioni funzionali.
La malattia di Alzheimer è la più comune causa di demenza (rappresenta il 50-60% di tutti i casi). È un processo degenerativo che colpisce progressivamente le cellule cerebrali, provocando quell’insieme di sintomi che va sotto il nome di “demenza”, cioè il declino progressivo e globale delle funzioni cognitive e il deterioramento della personalità e della vita di relazione.
Ad oggi non esistono trattamenti per fermare la progressione della malattia.
Negli ultimi anni, la ricerca sulla demenza ha fornito una comprensione molto più approfondita del modo in cui il morbo di Alzheimer colpisce il cervello.
Un recente studio italiano pubblicato sulla prestigiosa rivista “Scientific Reports” punta l’attenzione sul ruolo svolto dalla microglia nelle fasi precoci della malattia di Alzheimer.
E non solo. E’ recente un’altra ricerca “made in Italy”, questa volta realizzata da un gruppo di scienziati italiani dell’Università di Brescia, che ha ideato un metodo economico per diagnosticare l’Alzheimer distinguendolo dalla forma di demenza, la fronto- temporale, che si stima rappresenti circa il 15% di tutti i casi di demenza.
Fino ad oggi, era difficile distinguere le due forme di demenza perché i sintomi sono simili. E’ possibile farlo solo con esami costosi come la Pet o invasivi come la puntura lombare.
La ricerca, diretta dalla dottoressa Barbara Borroni e pubblicata su Neurology, ha coinvolto 79 persone con probabile Alzheimer, 61 con probabile demenza fronto-temporale, 32 coetanei senza alcun segno di demenza. Il nuovo metodo non invasivo che consiste nell’inviare, tramite una sonda, una stimolazione magnetica ad aree precise del cervello, è in grado di vedere sia se i diversi neuroni funzionano bene che distinguere tra le malattie, in quanto l’Alzheimer ad esempio, è legato a un deficit di rilascio di acetilcolina.
“Nel cervello – ha spiegato Borrioni alla stampa – ci sono diversi tipi di neuroni che rilasciano diversi messaggeri chimici (neurotrasmettitori): ad esempio neuroni che rilasciano glutammato, neuroni che rilasciano acetilcolina etc. Quello che facciamo è registrare la risposta alla stimolazione e in base ad essa valutiamo, appunto, l’integrità dei diversi neurotrasmettitori discriminando tra le diverse forme di demenza. Se questi risultati saranno replicati in studi più ampi i clinici potrebbero essere presto in grado di diagnosticare con facilità e rapidità la demenza fronto-temporale con questo metodo non invasivo”.