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Scatta l’ora della Terra, sabato 26 marzo il mondo si spegne
Un blackout internazionale. Avere una chiara idea dell’impatto dei cambiamenti climatici e trovare tutte le soluzioni per andare incontro al Pianeta salvaguardandone la salute. Parte da questo presupposto Earth Hour, l’Ora della Terra, la grande mobilitazione globale del WWF che nell’ultimo sabato del mese di marzo spegne letteralmente tutti i grandi monumenti del mondo per dare un segno tangibile nell’ambito della lotta agli sprechi e ai cambiamenti climatici. Milano, Roma, Napoli, Bologna, Verona e tante altre città nella giornata di oggi, sabato 26 marzo, spengono per un’ora l’illuminazione di importanti siti storico-religiosi, dal Colosseo all’Arena e al Duomo, unendo con questo gesto simbolico cittadini, istituzioni e imprese in una comune volontà di dare al mondo un futuro più sicuro, giusto e sostenibile e vincere la sfida del cambiamento climatico.
Guerra, rincari, inquinamento e scarsità delle materie prime, tutto quello che il Pianeta sta affrontando richiede un cambio di passo epocale. Dalla prima edizione del 2007, che ha interessato unicamente la città di Sidney, la grande ora di buio si è rapidamente diffusa in ogni angolo della Terra, provocando il blackout di piazze, strade e monumenti simbolo come il Colosseo, Piazza Navona, il Cristo Redentore di Rio, la Torre Eiffel, il Ponte sul Bosforo e tanti altri luoghi simbolo, per dimostrare che uniti si può fare una grande differenza.
Nonostante la pandemia e le relative restrizioni, il 2021 dal punto di vista paesaggistico non è stato un anno felice. Da Molteplici sono stati gli eventi ambientali che hanno preoccupato la comunità internazionale sempre più in apprensione rispetto alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Fenomeni che, in molti casi, hanno perso il carattere di eccezionalità e sono diventati frequenti in tutto il pianeta. In Nord America, gli incendi in California e Oregon, oltre alla ondata di caldo estremo in Canada, hanno mietuto diverse vittime. In Africa le alluvioni in Kenya, a inizio anno, in Nigeria e Mozambico hanno appesantito le problematiche portate sui territori dalle coltivazioni coatte e dallo sfruttamento del terreno. Anche l’Australia è stata sommersa dalle piogge, così come le Hawaii che hanno subito devastazioni con danni per milioni di dollari. Per ultimo l’uragano Ida che ha attraversato gli stati dell’Atlantico centrale con almeno due tornado, forti venti e piogge torrenziali che hanno fatto crollare il tetto di diversi edifici e minacciato una diga in Pennsylvania.
Un anno preoccupante per il clima: gli eventi estremi e le anomalie si sono moltiplicate, toccando inediti record come quello registrato in Canada nel corso dei mesi più caldi dell’anno, con quasi 50°C in alcune regioni della British Columbia, dopo che l’Onu ha confermato che nel 2020 si sono raggiunti i 38°C in Siberia. La finestra per le nostre azioni di mitigazione e adattamento alla crisi climatica si sta rapidamente stringendo, ed è per questo che – come detto da WWF – questo è il decennio per agire. I piccoli passi in avanti fatti dalla COP26 non sono paragonabili all’accelerazione delle azioni necessarie per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C. In gioco c’è il benessere delle persone e delle comunità, il rischio è quello di non riuscire a evitare le conseguenze più catastrofiche e ingestibili della crisi climatica minando le basi stesse del nostro vivere sociale.