Lo scompenso cardiaco è considerato in Italia la seconda causa di morte e secondo le stime è destinata a divenire, entro il 2020, la terza causa di decessi al mondo.
E’ una sindrome clinica complessa definita dall’incapacità del cuore di fornire il sangue in quantità adeguata all’effettiva richiesta dell’organismo. Può manifestarsi a qualunque età, ma è più frequente in quella avanzata.
I più comuni fattori che possono contribuire all’insorgere dello scompenso cardiaco sono problemi cardiaci di varia natura, come infarto, patologie coronariche, ipertensione, malattie delle valvole cardiache, infiammazioni o malattie del miocardio (il “muscolo” del cuore), difetti congeniti, patologie polmonari.
Lo scompenso cardiaco può essere curato a domicilio, tramite un sistema a rete tra i pazienti, i famigliari, i “caregiver” e operatori dell’assistenza domiciliare.
Questo il risultato di uno studio condotto dai Medici di Medicina Generale della SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie), con i pazienti e familiari nell’Azienda USL di Modena in collaborazione con la cattedra di Statistica e l’AOU di Modena.
Lo studio ha coinvolto 313 pazienti nella Provincia di Modena ed è stato pubblicato sulla rivista scientifica in lingua inglese Journal of Cardiovascular Medicine. “Abbiamo lavorato per 5 anni per disegnare e mettere in atto uno studio, gestito tutto con le risorse del territorio, che ha coinvolto i Medici di Famiglia e, in prima persona, i pazienti e i loro famigliari che gestiscono l’assistenza (i cosiddetti caregiver)”.
Facendo ricorso a strumenti tecnologici semplici e coinvolgendo i giovani Medici di Famiglia in formazione, abbiamo ottenuto risultati di rilievo in quanto abbiamo osservato che in molti casi una adeguata educazione alla prevenzione, del paziente e dei caregiver, può ridurre la necessità di andare in ospedale”.
Le parole della dottoressa Maria Stella Padula, Medico di Medicina Generale a Modena e vero “motore” dello studio cui ha collaborato fattivamente anche il dottor Gaetano D’Ambrosio di Bari, della SIMG nazionale.
“Lo studio è stato eseguito secondo le regole della medicina basata sull’evidenza a testimonianza delle grandi potenzialità che l’area delle cure primarie può esprimere in termini di ricerca clinica” ha affermato il professor Roberto D’Amico, della Cattedra di Statistica di UNIMORE, che è direttamente coinvolto nella programmazione degli studi clinici in questo settore.