I cosmetici naturali sono sempre più diffusi, ma non sempre la parola “naturale è sinonimo di “salutare”.
Sempre più negli ultimi tempi si sta diffondendo in Italia la credibilità secondo cui un cosmetico al naturale sia preferibile a qualsiasi altro suo pari più industriale, infatti si stima una spesa di 950 milioni di euro nel solo 2017 per la cosmesi per così dire ecologica. Tuttavia, c’è da chiarire che “naturale” non è sempre e comunque sinonimo di “salutare” tanto che gli esperti esortano i compratori, sia uomini che donne, ad essere molto attenti e a controllare sempre la certificazione, il cosiddetto bollino e a non acquistare i prodotti da bancarella.
“Naturale non significa per forza ‘buono’ – precisa Leonardo Celleno, presidente dell’Aideco (Associazione italiana di dermatologia e cosmetologia ad AdnKronos – Qualcuno potrebbe dire che un prodotto è naturale perché ad esempio è a base di erbe alpine, salvo poi scoprire che non ne contiene in quantità diversa da altri”. A meno che non si azzardi l’acquisto ‘da bancarella’, “non si tratta tanto di insidie per la salute, perché anche questi cosmetici sono fatti a norma di legge”. Quanto alle possibili allergie, “i cosmetici in generale, ‘verdi’ o meno, possono essere una fonte importante e comunque non allarmistica – tranquillizza lo specialista – Le sostanze più a rischio di causare dermatiti allergiche (diverse dalle dermatiti irritative, che sono più comuni ma di cui i cosmetici non sono fonte) sono quelle profumate, seguite dai conservanti”.
È sempre meglio, infatti, acquistare prodotti di case conosciute, con etichette chiare, che non promettano azioni miracolanti e siano certificate dagli enti preposti. Ciò che in verità servirebbe, confermano gli esperti, è proprio una certificazione unica idonea a spiegare i principi su cui è stato basato quel cosmetico senza occultare eventuali danni che procurerebbe alla pelle.
Il compratore predilige il cosmetico naturale perché ritiene che alla base della versione green siano del tutto assenti le sostanze chimiche di origine sintetica sostituite da composti naturali altrettanto performanti, cioè ugualmente validi dal punto di vista organolettico e quindi della gradevolezza del prodotto finale. “Il problema per il consumatore è che oggi gli enti certificatori” deputati a garantire la natura ‘bio’ di un prodotto “si basano su standard molto diversi l’uno dall’altro”, rammenta l’esperto. La quantità di sostanze naturali richiesta per ottenere la certificazione varia cioè “dal ‘mettici quanto più puoi’, fino a livelli che arrivano al 95% sul totale”.
“Soltanto in Italia – prosegue – gli enti certificatori sono almeno 4 o 5”, dall’Icea (Istituto per la certificazione etica e ambientale) al Ccpb (Consorzio per il controllo dei prodotti biologici). “Anche a livello europeo gli organismi sono più d’uno”, da Cosmos Organic a Natrue, “e ognuno si è fatto un suo standard che magari definisce come ‘unico’ anche se così non è. Il più rigido oggi è quello della fondazione Natrue, creata da aziende tedesche che sono quelle con la maggiore tradizione nel campo dei cosmetici naturali”.
Da anni l’International Organization for Standardization, l’Iso, sta lavorando alla realizzazione di una sorta di vademecum unico per tutti i cosmetici. Nell’attesa, però, il mercato del bio, naturale, green, diventa sempre più importante e persino le multinazionali cosmetiche più storiche, che avevano come ‘must’ il cosmetico convenzionale, oggi rivendicano la presenza di sostanze naturali praticamente in tutte le loro linee.