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Stephen Hawking, lo scienziato colpito dalla SLA
Il tweet della Nasa su Stephen Hawking: “Le sue teorie hanno sbloccato un universo di possibilità che noi e il mondo stiamo esplorando”.
Giornata di lutto quella di ieri (14 marzo n.d.r.) per la scienza, è morto Stephen Hawking, il celebre fisico conosciuto al livello internazionale soprattutto per i suoi studi sui buchi neri. Hawking era stato colpito dalla Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), ma nonostante la malattia neurodegenerativa ha lavorato come docente e ha svolto suoi studi su relatività, quantistica e cosmologia. “Siamo profondamente addolorati per la scomparsa oggi del nostro amato padre. Era un grande scienziato ed un uomo straordinario, il cui lavoro e il cui lascito resteranno per molto tempo”. Le parole dai figli Lucy, Robert e Tim riportate da un comunicato stampa.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), chiamata anche morbo di Lou Gehrig, dal nome del giocatore statunitense di baseball che fu la prima vittima accertata di questa patologia, è una malattia neurodegenerativa dell’età adulta che colpisce entrambi i sessi della quale ancora non si conoscono le cause. Nel mondo sono oltre 400.000 le persone affette dalla patologia (circa 6000 solo in Italia) e, stando alle stime, ci sono circa 14.000 nuovi casi all’anno: ciò significa che, ogni giorno, 384 persone nel mondo vengono colpite dalla malattia. Dall’esordio della malattia, in genere la sopravvivenza è a 3-5 anni tant’è che anche a Stephen Hawking erano stati dati pochi anni di vita al momento della diagnosi, attorno ai 20 anni, ma lo scienziato ha vissuto fino a 76 anni , con l’ausilio di sedia a rotelle e comunicatore vocale.
I sintomi iniziali della Sla sono variabili da persona a persona, ma quello comune è la progressiva perdita di forza che può interessare tutti i movimenti volontari. Nella maggior parte dei casi, l’indebolimento riguarda prima i muscoli delle mani, dei piedi, delle braccia o delle gambe. Altre manifestazioni possono essere la difficoltà nel parlare, nel masticare, nel deglutire. Oltre alla debolezza, si possono avvertire spasticità e fascicolazioni, anche dolorose (crampi muscolari).
Quando vengono coinvolti i muscoli respiratori, possono comparire affanno dopo sforzi lievi e difficoltà nel tossire. Le conseguenze della malattia sono la perdita progressiva e irreversibile della normale capacità di deglutizione, dell’articolazione della parola e del controllo dei muscoli scheletrici, con una paralisi che può avere un’estensione variabile, fino alla compromissione dei muscoli respiratori, alla necessità di ventilazione assistita e quindi alla morte. La Sla, però, non altera le funzioni cognitive e sensoriali del malato, come ci dimostra più di tutti l’esempio dell’astrofisico che ha portato avanti brillantemente i suoi studi, pur immobilizzato dalla malattia.
Negli anni si sono sviluppati degli studi per trovare una terapia in grado di rallentare la degenerazione motoria causata dalla malattia. E oggi sembra che si sia arrivati ad un traguardo molto importante in grado di dare delle speranze ai pazienti affetti da Sla.
Si chiama Radicut l’unico farmaco ad oggi, in grado di rallentare moderatamente la degenerazione motoria causata della malattia. L’Agenzia Italiana del Farmaco, AIFA, ha approvato l’introduzione in Italia del Radicut, nome commerciale dell’edaravone. AIFA ha dato così riscontro positivo alla richiesta formale avanzata da AISLA, Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, attestando il nostro Paese come il primo in Europa ad avere un nuovo farmaco sulla SLA in commercio dopo più di vent’anni.
Infatti, l’unico farmaco approvato per la SLA, nel 1995, era stato il Rilutek (Riluzolo), che ha dimostrato una modesta efficacia nel prolungare di pochi mesi la sopravvivenza dei pazienti.
Il Radicut, inizialmente messo a punto in Giappone per il trattamento degli ictus, è stato oggetto negli anni di ripetuti studi sulla SLA. I primi risultati non furono incoraggianti: non registravano, di fatto, alcuna differenza significativa tra i pazienti trattati con l’edaravone e quelli trattati con il placebo. In altri casi, addirittura, si sono verificati importanti effetti collaterali. Analizzando i dati, tuttavia, i ricercatori hanno notato che una determinata popolazione esaminta mostrava una risposta interessante al farmaco ed è su questa specifica tipologia di pazienti che si sono concentrate le sperimentazioni successive.
Il recente studio condotto negli Stati Uniti su 137 pazienti affetti da SLA e pubblicato su Lancet Neurology, lo ha confermato. Il Radicut induce un lieve rallentamento nel peggioramento dello stato funzionale in pazienti con specifiche caratteristiche quali: la comparsa della malattia da non oltre due anni, una disabilità moderata e, infine, una buona funzionalità respiratoria. Per tale ragione il farmaco potrà essere prescritto dal neurologo di riferimento esclusivamente alle persone con questo specifico quadro clinico. In Italia, su una popolazione di circa 6.000 persone affette da SLA, si stima che i pazienti inizialmente idonei siano circa 1.600.
Anche la ricerca sta facendo dei progressi notevoli. Importanti risultati sono stati ottenuti dagli studi genetici, che hanno portato alla scoperta di nuove mutazioni alla base della patologia, a livello del gene Matrin 3 e del gene TUBalpha. Si sono inoltre compiuti avanzamenti nello studio del coinvolgimento dei processi di maturazione dell’Rna nelle malattie genetiche da ripetizione di sequenze di Dna, tra cui alcune forme di Sla.
Inoltre, in tutto il mondo si stanno compiendo numerosi studi sull’utilizzo di cellule staminali, sia come modello di malattia che come possibile terapia.
Sono in corso studi in diverse parti del mondo con nuove molecole e terapie biologiche avanzate, e anche la comunità scientifica italiana è impegnata su questo fronte. In particolare, ad oggi sono stati registrati 279 trial; di questi ne sono attivi 96, di cui 37 osservazionali e 59 interventistici. In Italia sono stati registrati 22 trial (fonte: www.clinicaltrialregister.eu) e ad oggi ne sono attivi 10.