Si tratta di una metodologia ad oggi poco diffusa, anche per la sua complessità, ma che rappresenta una importante innovazione della chirurgia, ed è possibile solo in determinati casi che dipendono dalle condizioni dell’organo asportato. Il riferimento è alla tecnica del trapianto di isole pancreatiche che consiste in due fasi distinte. La prima prevede la separazione e l’estrazione delle cellule produttrici di insulina dal pancreas del donatore e la loro purificazione. In questa fase grazie al “metodo Ricordi”, le cellule del pancreas che producono l’insulina vengono separate dall’organo prelevato attraverso l’utilizzo di un particolare macchinario. Una volta pronte, queste cellule vengono impiantate con un’iniezione, nella vena porta, nel fegato. Qui attecchiscono e danno avvio al processo di produzione dell’insulina. Con lo scopo di evitare il rigetto, il paziente inizia ad essere trattato con una terapia immunosoppressiva.
Questa particolare tecnica chirurgica è eseguita da pochi centri specialistici in Italia, fra cui l’Uoc Chirurgia del pancreas in Veneto che a fine maggio ha effettuato ben nove interventi di autotrapianto delle insule pancreatiche in pazienti che avevano subito l’asportazione del pancreas. Le insule sono le cellule del pancreas che producono insulina e altri ormoni pancreatici, indispensabili per la regolazione del controllo della glicemia. Il diabete, infatti, è una delle principali conseguenze post operatorie della pancreasectomia totale, comportando un peggioramento della qualità di vita e di salute del paziente dopo l’intervento. Per evitare che dopo l’asportazione del pancreas per una diagnosi oncologica il paziente trascorra il resto della vita con le conseguenze del diabete, nel reparto di Borgo Roma si procede con la nuova metodica dell’autotrapianto delle insule nel fegato.
In una nota stampa diramata dal nosocomio veneto si ripercorrono le diverse fasi dell’intervento. Dallo stesso pancreas asportato vengono prelevate le cellule (insule pancreatiche) e, a seguito di una procedura di laboratorio per la purificazione, vengono impiantate il giorno dopo nel fegato dello stesso paziente. Non sono necessari nuovi interventi chirurgici, ma – come già specificato – si introducono nel fegato attraverso l’infusione nella vena Porta. L’autotrapianto esclude il ricorso a terapie antirigetto e i pazienti mostrano da subito un buon controllo nella produzione di insulina.
Questa nuova metodica porta la firma del professore Claudio Bassi (deceduto), ma è stata eseguita dall’équipe che collaborava con lui: il professor Roberto Salvia e il dottor Massimiliano Tuveri. Si tratta di un progetto multidisciplinare che, nella sua interezza, coinvolge tutti gli specialisti nella selezione dei pazienti idonei alla procedura, ai radiologi che reinfondono le insule e ne controllano radiologicamente l’attecchimento (prof. Giancarlo Mansueto e prof. Mirko D’Onofrio).
Il trapianto di isole può essere eseguito: in pazienti adulti (dai 18 ai 65 anni); in terapia immunosoppressiva per precedenti trapianti di rene o di altri organi solidi o per patologie autoimmuni; con insensibilità all’ipoglicemia e conseguente rischio per la salute; con diabete difficilmente controllabile da una terapia insulinica intensiva con multipli controlli glicemici, applicata correttamente; con rapida progressione delle complicanze nonostante il buon compenso metabolico. L’inserimento è subordinato ad una valutazione medica multidisciplinare.