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Tubercolosi: i progressi in Italia
L’Italia rimane un paese a bassa incidenza di tubercolosi (<20 casi/100.000), anche oggi, dopo anni di migrazioni.
Il 24 marzo scorso in occasione della Giornata Mondiale della Tubercolosi, l’ECDC (Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) ha pubblicato uno studio sulle scomparse verificatesi in Europa nel 2016 a causa della tubercolosi che avrebbe causato circa 4300 morti complessive che corrisponde ad un’incidenza nella popolazione di 6,6/100.000 abitanti. Il trend è diminuito negli ultimi 10 anni, considerando che nel 2015 i decessi sono stati 4500, ma il problema è che, in quello stesso periodo, il numero di nuovi casi è aumentato di molto.
Nel 2016 l’1,9% dei casi ha riguardato bambini entro i 4 anni, il 2% bambini dai 5 ai 14 anni, il 18% ragazzi dai 15 ai 24 anni, il 35% dei casi persone dai 25 ai 44 anni, un altro 18% individui dai 45 ai 64 anni e l’ultimo 14% gli over 65. In Europa il 45% dei casi nuovi registrati si sono verificati in persone tra i 25 e i 44 anni di età mentre i casi in soggetti di età inferiore a 15 anni sono stati circa il 4% del totale.
La tubercolosi, in sigla TBC e riconosciuta anche come tisi o poriformalicosi, è una malattia infettiva e contagiosa provocata dal batterio Mycobacterium tuberculosis o bacillo di Koch, dal nome del medico e batteriologo tedesco che lo scoprì nel l 1882. La TBC si trasmette attraverso goccioline di saliva emesse dall’individuo degente durante la fonazione, i colpi di tosse, gli sputi e gli starnuti. Fortunatamente, la maggior parte delle persone che entrano a contatto con questi germi non sviluppa i sintomi della malattia, che viene efficacemente spenta sul nascere dal sistema immunitario.
Attualmente, nonostante i numerosi progressi farmacologici, la tubercolosi rimane una delle principali cause di morte in tutto il mondo, specialmente nelle aree sottosviluppate del continente africano e di quello asiatico. L’Italia rimane un paese a bassa incidenza di tubercolosi (<20 casi/100.000), anche oggi, dopo anni di migrazioni. Dal 2012 al 2016 in Italia il tasso di notifica di TBC è diminuito in media del 1,8% ogni anno. Anche dal punto di vista della mortalità, nel nostro Paese la situazione risulta piuttosto stabile, con un tasso di 0,6 morti su 100 mila.
La scoperta dei primi farmaci antitubercolari negli ani ’40, unitamente al miglioramento delle condizioni socio-sanitarie della popolazione, suscitò rosee prospettive di eradicazione della tubercolosi. Tuttavia, a partire dal 1980 la malattia ha conosciuto una recrudescenza, spiegabile – almeno in parte – con la diffusione globale dell’AIDS, l’immigrazione massiccia da aree endemiche e la comparsa di ceppi resistenti ai trattamenti farmacologici. Questi ultimi possono essere debellati solo ricorrendo ad un cocktail di farmaci molto costoso, da assumersi per molti mesi (18 e più) rispettando scrupolosamente le indicazioni mediche; solo portando a compimento il ciclo terapeutico è infatti possibile impedire la selezione e la diffusione di microorganismi resistenti. Inoltre, indipendentemente dal ceppo che ha causato la tubercolosi, quando l’assunzione degli antibiotici non viene rispettata, è probabile che la malattia si manifesti di nuovo e vengano contagiate le persone dell’ambiente circostante.
Ogni anno la tubercolosi uccide circa due milioni di persone, concentrate soprattutto nei Paesi in via di sviluppo; l’OMS stima che circa un terzo della popolazione mondiale sia attualmente infetta da TBC.
Prendendo in considerazione tutti i paesi dell’Unione Europea, i tassi di mortalità si sono dimezzati in questi dieci anni grazie anche agli aiuti umanitari che stanno garantendo sostanziali miglioramenti dei sistemi sanitari specialmente nei paesi storicamente meno ricchi. Nel 2016 il 62% delle nuove diagnosi di TB riguardavano persone non native, mentre un altro 30% italiani. In Germania gli stranieri colpiti sono il 69% del totale dei nuovi casi, nel Regno Unito il 70,8% e in Francia il 56%. In paesi come la Norvegia e la Svezia quasi il 90% delle diagnosi riguarda persone non native. In Olanda il 75%.
Allo stesso tempo, è importante evidenziare che si riscontra un elevato rischio di contrarre la TBC in prigione. Infatti, il 6% dei nuovi casi di tubercolosi nella regione europea si è verificato in carcere, con una differenza fra paesi dell’Unione Europea e non rispettivamente di 862 e 1144 casi per 100 mila persone.