Era stata aperta al pubblico sabato pomeriggio ed è stata chiusa oggi, lunedì 23 agosto, la camera ardente dedicata al fondatore di Emergency, Gino Strada, allestita nella sede milanese dell’Associazione umanitaria italiana. Nel corso di questi giorni in tanti hanno reso l’ultimo saluto al chirurgo degli ultimi che ha fatto della medicina uno strumento di pace nel mondo: sono state circa 11 mila le persone arrivate nella sede di Milano dell’Organizzazione nata nel 1994 nasce con il primario obiettivo di soccorrere e aiutare le vittime civili delle guerre e della povertà.
Da allora i volontari e gli uomini e le donne del team Emergency sono intervenuti in 19 Paesi, costruendo ospedali, centri chirurgici, centri di riabilitazione, centri pediatrici, posti di primo soccorso, centri sanitari, ambulatori e poliambulatori, ambulatori mobili, un centro di maternità e un centro cardiochirurgico. Con il supporto delle autorità locali e di altre organizzazioni hanno inoltre contribuito alla ristrutturazione e all’equipaggiamento di strutture sanitarie già esistenti. Il primo progetto è stato in Ruanda, dove hanno ristrutturato e riaperto il reparto di chirurgia dell’ospedale di Kigali e riattivato il reparto di ostetricia e ginecologia.
Tra i Paesi del mondo in cui Strada ha operato c’è anche la martoriata Afghanistan, in questi giorni alle prese con la costituzione di un nuovo Esecutivo per mano dei Talebani. Nella notte del 15 agosto, a poche ore dalla diramazione della notizia della scomparsa del fondatore di Emergency, a Roma, è apparsa una nuova opera della street artist Laika dal titolo “Le Lacrime di Kabul (Omaggio a Gino Strada)” con al centro un bambino afghano con la testa bendata che si rivolge a Gino Strada confidandogli di avere paura. Pochi giorni prima della sua scomparsa il chirurgo milanese era intervenuto in merito a quanto accade in Afghanistan lanciando uno sguardo di sfiducia verso il mondo.
“Non mi sorprende questa situazione – aveva dichiarato il filantropo a La Stampa – come non dovrebbe sorprendere nessuno che abbia una discreta conoscenza dell’Afghanistan o almeno buona memoria. Mi sembra che manchino – meglio: che siano sempre mancate – entrambe. La guerra all’Afghanistan è stata – né più né meno – una guerra di aggressione iniziata all’indomani dell’attacco dell’11 settembre, dagli Stati Uniti a cui si sono accodati tutti i Paesi occidentali. Ho vissuto in Afghanistan complessivamente 7 anni: ho visto aumentare il numero dei feriti e la violenza, mentre il Paese veniva progressivamente divorato dall’insicurezza e dalla corruzione. Dicevamo 20 anni fa che questa guerra sarebbe stata un disastro per tutti. Oggi l’esito di quell’aggressione è sotto i nostri occhi: un fallimento da ogni punto di vista. Oltre alle 241 mila vittime e ai 5 milioni di sfollati, tra interni e richiedenti asilo, l’Afghanistan oggi è un Paese che sta per precipitare di nuovo in una guerra civile, i talebani sono più forti di prima, le truppe internazionali sono state sconfitte e la loro presenza e autorevolezza nell’area è ancora più debole che nel 2001. E soprattutto è un Paese distrutto, da cui chi può cerca di scappare anche se sa che dovrà patire l’inferno per arrivare in Europa. E proprio in questi giorni alcuni Paesi europei contestano la decisione della Commissione europea di mettere uno stop ai rimpatri dei profughi afgani in un Paese in fiamme”.