Il bevi che ti passa non è poi il giusto rimedio, si potrebbe affermare anzi che non lo è mai. In particolari momenti della vita infatti deve essere un’evidenza per niente opinabile: è questo ad esempio il caso della gravidanza in cui l’obiettivo principale è tutelare la buona salute del feto e della mamma. Non sempre però è così. Come emerge dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ci sono donne che continuano ad essere dipendenti dall’alcol anche nel corso dei nove mesi di gestazione.
Anche in piccolissime dosi l’alcol assunto in gravidanza può avere rischi per il nascituro. È quanto dimostrato dal recente studio scientifico italo-spagnolo sulla sindrome feto-alcolica, diretto dalla dottoressa Simona Pichini dell’ISS e in pubblicazione su Clinical Chemistry and Laboratory Medicine. Lo studio condotto su 168 coppie mamma-neonato (dell’Hospital del mar di Barcellona) dimostra che la quantità di alcol consumata durante la gravidanza è rilevabile sia nel capello materno che nelle prime feci (meconio) neonatali. Pertanto anche bevendo poco ma spesso, il feto è esposto all’alcol materno.
Sulla base di questo dato, in occasione della Giornata mondiale della lotta alla sindrome feto-alcolica e dei disturbi correlati celebrata lo scorso 9 settembre, è stato lanciato un nuovo progetto coordinato dall’Istituto superiore di sanità (Iss), che prevede anche una campagna social sulla sindrome feto-alcolica con diversi testimonial, fra cui due giovani medici e futuri genitori.
Lo 0,2% delle donne rientra nel profilo della “bevitrice cronica”, circa il 6% è “bevitrice sociale”, beve cioè saltuariamente durante incontri e uscite con amici e colleghi, come evidenziano gli ultimi dati del Centro nazionale dipendenze e doping dell’ISS relativi al triennio 2019-2022, che inducono a rafforzare l’informazione su quanto sia importante scegliere di non bere.
Monitorare il consumo di alcol in gravidanza, formare gli operatori e sensibilizzare sui rischi. Sono questi i tre obiettivi del progetto “Salute materno-infantile: formazione degli operatori socio-sanitari ed empowerment delle giovani donne (18-24 anni) sui rischi legati al consumo di alcol in gravidanza” supportato dal Ministero della Salute e coordinato dal Centro Nazionale Dipendenze e Doping e dal Servizio tecnico scientifico di coordinamento e supporto alla ricerca dell’ISS. Il progetto ha una durata di due anni, e prevede una parte di laboratorio dedicata ad acquisire informazioni sul consumo di alcol in gravidanza e l’eventuale uso concomitante di altre sostanze psicotrope tra le giovani donne di età 18-24 anni attraverso l’analisi della presenza di EtG (Etilglucuronide, un metabolita specifico dell’alcol etilico) nei capelli delle gestanti e nel meconio di neonati di madri in questa fascia di età. In Più, per verificare l’eventuale uso concomitante di altre sostanze psicotrope, sui capelli materni e sul meconio neonatale verrà eseguito uno screening con tecniche ifenate per la ricerca delle principali sostanze d’abuso (oppiacei, cocaina, cannabinoidi, amfetamine).
Il secondo obiettivo del progetto è formare gli operatori socio-sanitari in modo da aumentare la possibilità di intercettare precocemente i rischi del consumo di alcol in gravidanza nelle giovani donne. Pertanto, sono previsti corsi FAD da destinare agli operatori sui rischi alcol correlati con lo scopo di fornire skills per la strutturazione di ambulatori per la diagnosi precoce dello Spettro dei Disturbi Fetoalcolici (Fetal Alcohol Spectrum Disorders, FASD).
La foto è stata diffusa dall’Istituto Superiore di Sanità nell’ambito della campagna informativa avviata