Ulteriori casi della Zombie deer disease sono stati registrati in Scandinavia e in Corea del Nord. Nell’aprile 2016 è stata diagnosticata in Norvegia, e per la prima volta in Europa. Fino a quel momento questa patologia era ritenuta presente solo in Nord America, dove è nota dalla seconda metà del secolo scorso. La malattia è stata riscontrata in una renna appartenente a una specie nella quale la Chronic Wasting disease non era mai stata osservata in precedenza, neppure nelle aree endemiche nordamericane.
Tuttavia, gli scienziati si interrogano sugli effettivi rischi per l’uomo. Il salto di specie ad oggi non è ancora avvenuto. Le proteine anomale danneggiano cellule cerebrali e provocano disfunzioni nei vari organi dell’esemplare contagiato che presenta perdita di peso, manifesta sete anomala e conseguente necessità di urinare con frequenza, mancanza di equilibrio e di coordinazione nei movimento, difficoltà nella deglutizione, produzione di bava. Alla malattia inoltre si associano anche criticità legate all’infiammazione dei polmoni. I sintomi possono manifestarsi dopo molti mesi, ma anche a distanza di anni: questo elemento rende realmente difficile la diagnosi iniziale e favorisce la diffusione della patologia tramite lo scambio di fluidi corporei o anche attraverso la contaminazione di acqua e cibo.
Alla luce di tutto questo, nonostante i due casi registrati in territorio nordamericano, non ci sono evidenze scientifiche rispetto a un eventuale contagio dall’animale all’uomo ma la situazione è monitorata dai ricercatori. Test a cui sono stati sottoposti, nel 2018, i macachi, specie relativamente vicina a quella umana, ha evidenziato che gli esemplari esposti al contagio di cervi e alci malati non sono stati colpiti dalla malattia. Uno studio sperimentale eseguito nel 2022 in Canada però, ha fornito risultati meno confortanti quando alla malattia sono stati esposti topi con apparato genetico modificato per valutare l’impatto di patologie sull’uomo.